Corriere della Sera

Il finanziere e lo stabile al centro dello scandalo in Vaticano

- (foto Ansa)

● Nel mirino un’operazione immobiliar­e realizzata con l’obolo di San Pietro, cioè le offerte dei fedeli per i bisognosi, utilizzate dai vertici finanziari della Segreteria di Stato vaticana per mettere a segno a Londra, in Sloane Avenue a Chelsea, una operazione immobiliar­e milionaria, realizzata in società con l’imprendito­re italo-inglese

«Io sono orgoglioso di aver salvato 147 milioni di euro del Vaticano che loro erano pronti a bruciare in Angola, altro che finanziere oscuro! E in ogni caso, sono disposto a ricomprarm­i il palazzo a Londra allo stesso prezzo cui gliel’ho venduto». Raffaele Mincione, 54 anni, finanziere di Pomezia, da tre decenni in Gran Bretagna, racconta la sua versione sullo scandalo dell’investimen­to nel palazzo al 60 di Sloane Avenue, realizzato con il fondo Athena Global Opportunit­ies, nel quale la Segreteria di Stato ha versato buona parte dell’obolo di San Pietro. È l’affare finito nella bufera per presunti sprechi o giri di denaro non chiari, al centro di un’inchiesta della magistratu­ra del Papa. Mincione è noto in Italia: nel 2011 scala la Popolare di Milano, poi punta su Mps, quindi entra in Carige e in altre società in Borsa. «Il Vaticano era l’unico investitor­e del fondo Athena con 147 milioni di euro», rivela. «Solo io investivo insieme con loro nel palazzo, al 55%».

Il fondo è comparso anche nelle scalate a Carige, Retelit (telecomuni­cazioni) e Tas (pagamenti digitali). In Vaticano sapevano come investiva i loro soldi?

«Sapevano tutto: circa 80 milioni vanno nel palazzo, circa 65 in altri investimen­ti, come quelli che ha detto lei. Mandavo report mensili e 3-4 volte l’anno ne andavo a parlare in Segreteria di Stato».

Ma come entra in contatto con loro?

«A ottobre 2012 mi dicono che Credit Suisse ha un’operazione da fare in Angola. Vado a Canary Wharf, riunione con 3-4 banchieri tra i quali Enrico Crasso, responsabi­le dei soldi del Vaticano. Il Vaticano, mi spiegano, vuole investire 200 milioni di dollari in una società angolana, Falcon Oil, che ha il 5% dei diritti per costruire una piattaform­a petrolifer­a offshore con Eni e Sonangol. Il proprietar­io è un importante imprendito­re, Antonio Mosquito, amico di monsignor Angelo Becciu, già nunzio apostolico in Angola e allora sostituto alla Segreteria di Stato. Facciamo un incontro anche in Vaticano».

Perché si rivolgono a lei?

«Conosco tutti sulla piazza. Le banche non volevano farla per i molti rischi. A me l’operazione non piaceva fin dall’inizio, troppo esposta al prezzo del petrolio».

Ma lei aveva tutto l’interesse a che non si facesse l’affare: aveva un palazzo da piazzare...

«Anche al segretario di Becciu, monsignor Alberto Perlasca, non piaceva. Gli ho detto: volete raddoppiar­e i soldi? Vi propongo un mio palazzo al centro di Londra, a un chilometro da dove abito. Quando esco di casa lo vedo. Altro che Angola in mezzo al mare...».

Ma scusi, il palazzo gliel’ha venduto lei e ha continuato a gestirlo.

«Il progetto era cambiare destinazio­ne d’uso da uffici a residenzia­le, alzare due piani e rivendere a 600-700 milioni di sterline. Ecco, guardi le carte!».

Quando ha incassato in commission­i?

«Il 2% all’anno, 16 milioni. Tutto scritto nel prospetto».

Ma perché ha reso?

il palazzo non

«Perché ci mettiamo tre anni e mezzo, fino a dicembre 2016, per avere il cambio di destinazio­ne d’uso. Nel fratsempre tempo avevamo ridotto di tre quarti il prezzo degli affitti: in cambio gli inquilini si impegnavan­o a lasciare gli uffici in tre mesi, per poter cominciare subito i lavori. È una prassi. Ma a giugno arriva Brexit e la sterlina crolla. Loro erano esposti alla sterlina e hanno perso tanto sui cambi. Ma io che c’entro?».

Ma se l’affare era così buono, perché chiuderlo?

«Non lo so. So che a giugno 2018 Becciu lascia l’incarico e arriva Edgar Peña Parra. Perlasca e il funzionari­o Fabrizio Tirabassi cominciano a lamentarsi che c’è un buco, che non rende... Ma patrimonia­lmente non c’è un buco: se ristruttur­i, raddoppi il valore; gli affitti a prezzo pieno, rende il 4%, 14 milioni di sterline.

d Sono orgoglioso di aver salvato 147 milioni di euro che loro erano pronti a bruciare in Angola

meglio dell’angola, che valeva zero! Comunque, a novembre accetto la transazion­e: che faccio, mi metto contro la Chiesa? Loro prendono il 100% del palazzo, io il resto. E mi danno 44 milioni di conguaglio».

Il palazzo non rende e loro lo vogliono tutto? Non suona...

«Ma mica gliel’ho chiesto io! Dissero che se il Vaticano possiede un palazzo al 100% è esente da tasse. C’era la possibilit­à che un governo Corbyn cambiasse la situazione, era un rischio che non volevano correre. Poi sembrava che avessero un compratore... Ma ci hanno guadagnato comunque».

Come?

«Allora: hanno messo 147 milioni nel 2014 e ora ci hanno dato 44 milioni. C’è un mutuo da 130 milioni. Tutto il palazzo dunque è costato 320 milioni di euro, cioè 287 di sterline. Con gli affitti a prezzo pieno, il palazzo vale 390 milioni di euro: 390 meno 320 fa 70. Cioè hanno investito 147 milioni e quattro anni dopo ne hanno 70 milioni in più».

Sì, ma sulla carta.

«Hanno voluto il palazzo? Lo gestiscano. La licenza a costruire scade a dicembre...».

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Nei giardini Papa Francesco nei giardini vaticani dove ha scavato la terra con una vanga per poi piantare un albero d’ulivo, simbolo di pace

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