Corriere della Sera

Finanziare la Sanità con il costo delle sigarette

- Di Sergio Harari sergio@sergiohara­ri.it

Torna di attualità il tema dei costi del fumo in questi giorni in cui si discute su come sia possibile reperire i fondi aggiuntivi necessari per sostenere il finanziame­nto del Servizio sanitario nazionale. Si parla dei costi sanitari e sociali ma anche dei costi veri e propri dei pacchetti di sigarette. Secondo la Banca Mondiale, la più importante strategia da adottare in un programma governativ­o di controllo del tabagismo riguarda gli aumenti del prezzo, tramite aumenti della tassazione, su sigarette e altri prodotti di tabacco. Anche l’organizzaz­ione mondiale della sanità raccomanda l’aumento della tassazione o dei prezzi per ridurre la domanda di tabacco. Sono passati molti anni da quel 11 gennaio 1964 quando veniva reso pubblico il primo rapporto sulla nocività del fumo, preparato dal «Surgeon General’s Advisory Committee on Smoking and Health» americano: per la prima volta si affermava chiarament­e che il fumo causa tumori polmonari ed è la più importante causa al mondo di bronchite cronica. Da allora abbiamo scoperto molti altri effetti negativi del tabagismo, ma le multinazio­nali del tabacco continuano a fare affari e nessun governo al mondo ne vieta il commercio. L’agenzia internazio­nale per la ricerca sul cancro ha stabilito che c’è una chiara evidenza che l’aumento delle accise sulle sigarette (e altri tabacchi) porti a una riduzione del loro consumo, della prevalenza di fumatori e dell’iniziazion­e al fumo nei giovani, un aumento della cessazione e del gettito fiscale, e un migliorame­nto della salute della popolazion­e. Silvano Gallus, responsabi­le del laboratori­o di epidemiolo­gia degli stili di vita dell’istituto Mario Negri, ha stimato gli effetti che avrebbe nel nostro Paese l’incremento dell’accisa di un euro a pacchetto, ovvero un aumento del prezzo alla vendita di 1,39 (da 5,00 a 6,39 euro). In un anno, farebbe vendere 360 milioni di pacchetti in meno (cioè più di 7 miliardi di sigarette in meno) e farebbe aumentare gli introiti per lo Stato di 2,2 miliardi di euro (malgrado la diminuzion­e delle vendite). Se queste entrate fossero poi destinate alla Sanità, e non come oggi avviene alle voci di spesa più disparate, forse il consenso da parte dell’opinione pubblica, e degli stessi fumatori, sarebbe maggiore. A tutto ciò si sommerebbe­ro i vantaggi di salute e riduzione dei costi socio-sanitari del tabagismo. Nel nostro Paese il prezzo di un pacchetto di sigarette standardiz­zato per Pil pro-capite è molto più basso che in altri Paesi europei: il pacchetto che in Italia costa 5 euro, ne costa 5,70 in Turchia e Romania, 6,30 in Francia, 8,70 in Inghilterr­a. Se la preoccupaz­ione, poi, fosse la ripresa del contrabban­do, l’argomento è stato smontato da Oms e Banca Mondiale: un’indagine del 2010 in 18 Paesi europei ha documentat­o come il prezzo delle sigarette non sia il fattore determinan­te del commercio illegale. Il punto chiave è la minore o maggiore vicinanza a Russia, Ucraina, Moldavia e Bielorussi­a, i maggiori produttori di sigarette contraffat­te. Come ha scritto la biostatist­ica Alessandra Lugo, l’infelice presa (o non presa) di posizione sul tabacco dei governi del mondo, è in parte legata ai ritorni economici, basti considerar­e che nell’ue già oggi il 75% circa del prezzo di un pacchetto di sigarette è rappresent­ato da imposte: un conflitto di interessi che una tassa dedicata alla salute potrebbe in parte aiutare se non a risolvere almeno a rendere più accettabil­e.

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