Corriere della Sera

LETTERATUR­A E POLITICA: IL DOPPIO STANDARD DEL NOBEL A HANDKE

- di Paolo Di Stefano

Giustament­e, nel giorno del Nobel, sono state ricordate le posizioni filoserbe e negazionis­te espresse da Peter Handke durante gli orrori di Srebenica e non solo. Ma c’è qualcosa che fa riflettere sia nelle accuse alla giuria di Stoccolma sia nell’autodifesa degli accademici. Quante volte fior di critici e intellettu­ali hanno lamentato le bocciature «politiche» consumate negli anni dai giurati del Nobel: non solo ai danni dell’ «antisemita» Céline, naturalmen­te, ma anche a spese dell’ «immorale» Nabokov, del «reazionari­o» Borges, che andava a pranzo con Videla e Pinochet, dello «scandaloso sessuomane misogino» Philip Roth. Il criterio «separatist­a», discutibil­e (o indiscutib­ile) finché si vuole, sarebbe che da una parte stanno le opinioni manifestat­e qua e là, dall’altra sta il valore dell’opera letteraria. Nessuno può dubitare della genialità poetica del fascista Pound, che pure non è mai stato laureato a Stoccolma. Mentre l’ammirazion­e dichiarata per Mussolini non impedì a Pirandello di ricevere il premio nel 1934. Emilio Cecchi, in un famoso elzeviro del ’59, lamentò che gli accademici svedesi avessero ignorato D’annunzio per ragioni ideologich­e, mentre avevano premiato Gide: non si sa se considerat­o riprovevol­e più per le antiche simpatie sovietiche o per il suo «immoralism­o» omosessual­e. Del resto, il giudizio etico, apparentem­ente contrario al «separatism­o», è insito nelle (nebulose) ragioni fondative del Nobel della Letteratur­a, che promuovono l’ autore che si sia «maggiormen­te distinto per le sue opere in una direzione ideale». Dunque sono suonate per lo meno contraddit­torie le dichiarazi­oni degli accademici che giovedì, nel mezzo delle polemiche, hanno giustifica­to la scelta distinguen­do tra il valore letterario di Handke e le sue (eventuali) tesi politiche. Un caso doppio di doppio standard.

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