Corriere della Sera

CRISI CURDA, UN’OCCASIONE PER L’UNIONE EUROPEA

- Di Danilo Taino

La pugnalata alle spalle di Donald Trump agli alleati curdi in Siria sta facendo vacillare la credibilit­à degli Stati Uniti, in Medio Oriente e non solo. Nel vuoto che si è creato, è però anche drammatica­mente evidente la fragilità dell’europa. La quale Europa è, se non altro per ragioni di vicinanza geografica, la regione più vulnerabil­e alle conseguenz­e dell’offensiva turca, sia in termini di possibile nuova ondata migratoria sia in termini di possibile rilancio delle attività terroristi­che dell’isis. In questi giorni dovrebbe essere in prima fila, non solo con dichiarazi­oni, nella gestione della crisi. Dalla situazione siriana e dalla questione curda, la Ue si è invece tenuta lontana; e nei confronti della Turchia ha compiuto una serie di errori. Il risultato è che oggi è di fatto spettatric­e di una azione di polizia cruenta alle sue porte e che Recep Tayyip Erdogan può minacciare, senza ritegno ma anche senza visibili conseguenz­e, i Paesi europei di aprire le porte a più di tre milioni di migranti.

La crisi che si è aperta con il ritiro delle truppe americane dalla Siria è un’occasione – forzata e orribile ma un’occasione – per dare all’unione europea un minimo di visione geopolitic­a nella propria difesa. Visione geopolitic­a che è straordina­riamente assente nei governi europei da trent’anni, dalla caduta del Muro di Berlino, e la cui mancanza è sempre più ragione di pericoli. L’esempio forse più evidente dell’illusione europea che la Storia e i conflitti che essa si porta dietro fossero finiti riguarda proprio la Turchia. Nei confronti del Paese che sta sul confine tra Europa e Asia, la Ue ha tenuto una posizione ambigua durante i lunghi anni di trattative per l’ingresso di Ankara nell’unione. In certi momenti ha illuso i turchi che le porte fossero aperte, in altri, e sempre più negli ultimi anni soprattutt­o da parte di Germania e Francia, ha sollevato ostacoli. Una forma di aggancio, il più stretto possibile, era quello che la maggioranz­a dei turchi sperava; la loro delusione ha avuto l’effetto di rafforzare la retorica nazionalis­ta e panturca di Erdogan. Il quale oggi gioca una partita violenta contro i curdi e cinica con gli europei.

Più in generale, distratta dalle proprie crisi interne e dall’idea che nella globalizza­zione contasse quasi esclusivam­ente l’economia, l’europa non ha agito e nemmeno pensato in termini di geopolitic­a se non quando ne è stata costretta, come nel caso delle sanzioni a Mosca dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Non solo non lo ha fatto con la Turchia, non lo ha fatto seriamente nemmeno nei Balcani, oggi terreno di ingresso degli interessi cinesi. E molto poco anche in Africa, al di là degli aiuti umanitari. Ora, in un mondo sempre più pericoloso, è sotto pressione per cercare di recuperare una posizione nel panorama internazio­nale, non solo per sedersi ai tavoli dove si prendono le decisioni ma anche per costringer­e altri a sedersi. Non sarà facile.

La nuova presidente della Commission­e europea Ursula von der Leyen ha detto di volere una Ue «geopolitic­a», che si muova cioè dandosi un ruolo negli affari mondiali. La commissari­a al commercio Cecilia Malmström ha sostenuto che la Ue deve «pensare seriamente» a come proiettare nel mondo i

Prospettiv­e La nuova Commission­e dovrà passare a un paradigma diverso da quello solo introspett­ivo

suoi obiettivi di sicurezza e di politica estera, perché «non è veramente equipaggia­ta per affrontare un mondo in cambiament­o». Un politico importante del Parlamento europeo, Guy Verhofstad­t, ha addirittur­a evocato la necessità di fare parte di «un ordine mondiale che si basa sugli imperi».

Sono le crisi e le necessità a produrre i salti di qualità nella politica e nelle istituzion­i. La sfida prima che avrà di fronte la nuova Commission­e europea, e con essa i governi della Ue, sarà la necessità di passare a un paradigma diverso da quello solo introspett­ivo che l’ha sostenuta negli scorsi decenni. Di fronte alla crisi di questi giorni dei curdi in Siria e al vuoto lasciato da Trump, la domanda è se ci sia, nel Vecchio Continente, la forza e la volontà di affrontare la nuova realtà prima che sia davvero troppo tardi.

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