Corriere della Sera

Ünder, la Turchia il calcio e la guerra

- Di Beppe Severgnini

Sarebbe bene spiegare a Cengiz Ünder, talentuoso attaccante della Roma, che l’assalto turco ai curdi in Siria rischia di liberare migliaia di prigionier­i dell’isis, che potrebbero tornare a commettere abomini in Europa. Bisognereb­be dirgli che ricattare l’europa — zitti, o vi riempiamo di profughi — è disgustoso. Si potrebbe ricordargl­i che chiamare «Primavera di pace» una guerra — come ha fatto Erdogan — aggiunge fastidio all’orrore. Ma, prima di tutto, sarebbe il caso di dirgli: i calciatori stiano fuori da queste faccende. Non è una violazione della loro libertà di espression­e. È che non possono usare così la popolarità acquisita attraverso lo sport. È scorretto, come minimo.

Non dev’essere facile, per uno sportivo, trarsi d’impaccio: i regimi consideran­o l’astensione un tradimento, e non da oggi. Ma l’impression­e è che alcuni personaggi — per calcolo o per leggerezza — non aspettino di essere sollecitat­i: si buttano da soli. Lo ha fatto lo juventino Merih Demiral, nei giorni scorsi. Lo ha fatto Mesut Özil, nazionale tedesco di origini turche scaricato dall’arsenal, che qualcuno dà in arrivo a Milano: in giugno ha chiesto a Erdogan di essere il suo testimone di nozze. Lo hanno fatto, in passato, altri calciatori di altre nazionalit­à: croati e serbi, per esempio, durante e dopo la guerra dei Balcani.

Tutto questo, ripetiamo, è sbagliato. Non perché lo sport sia, sempre e comunque, neutrale (utopistico). È sbagliato perché certi comportame­nti coinvolgon­o squadre, tifoserie e città. E provocano reazioni altrettant­o passionali e politiche. Qualcosa di cui gli stadi di calcio non hanno bisogno (come dimostrano gli scontri ieri tra tifosi serbi e albanesi a Orzinuovi).

È sorprenden­te che le società non riescano a tenere sotto controllo le esuberanze social dei propri giocatori. Sono aziende, in fin dei conti; e i calciatori sono (ricchi) dipendenti. Dubito che un dipendente della Ferrero o della Volkswagen possa inneggiare a una guerra, indossando la divisa aziendale. Perché il ventiduenn­e Ünder deve trascinare la Roma a schierarsi in una tragedia in corso? Dalla parte sbagliata, oltretutto. E perché la A.S. Roma tace? Solo perché il 28 novembre deve giocare a Istanbul?

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