Esce per Mondadori «Noi felici pochi», firmato con uno pseudonimo che allude al celebre libro di Bret Easton Ellis
Si chiamerebbe Patrizio Bati. Il condizionale è d’obbligo perché nome e cognome sono l’adattamento italiano, la nazionalizzazione, di Patrick Bateman, il serial killer yuppie di Bret Easton Ellis in American psycho, uno dei romanzi più feroci mai scritti. Quello che nel 1991 Norman Mailer, gran sacerdote della letteratura americana pochissimo pagine patinate tenero di con «Vanity i colleghi, Fair» come celebrò il capolavoro sulle che segnava la Nuova Frontiera della fiction. L’italian psycho di cui Patrizio Bati è eroe e autore (il racconto è in primissima persona) si intitola Noi felici pochi ed esce da Mondadori. Sarei fortemente tentato di imitare Norman Mailer (facilitato dal fatto che tradussi il suo
inno a Easton Ellis per l’edizione italiana di «Vanity»). Noi felici pochi è un romanzo che nella pur lunga storia della letteratura nazionale non s’era mai visto. Senza bontà, pentimenti, redenzione, moralismo, un romanzo tutto male e azione, nessun selfie ombelicale d’autore. È un romanzo dal vero. Dice l’avvertenza che precede il racconto: «Nelle scene di violenza descritte in questo libro, tutte le persone di cui si parla sono state realmente aggredite e malmenate» (da cui la scelta dell’anonimato da parte dell’autore). Di solito nei romanzi italiani medi ogni riferimento alla realtà è puramente casuale, involontario.