Italian psycho
Sesso e violenza, tanta violenza. Ragazzi di vita, ma ai Parioli È nerissimo e vero l’esordio di Patrizio Bati, eroe e autore
La bruciante storia di Patrizio Bati (170 folgoranti pagine) comincia una notte su un’automobile lanciata alla massima velocità lungo una strada tutta curve a strapiombo sul mare. A bordo, Patrizio e gli altri: ragazzi e ragazze di Roma Nord. Sono strafatti: «Era una settimana che ero stanco. La cocaina stanca». A un certo punto, Andrea, il pilota, spegne i fari (mogolianamente & battistianamente). Giusto pochi secondi («per vedere se poi è tanto difficile morire»), ma sono sufficienti. La macchina vola giù dal promontorio.
I felici pochi comincia dove finiva Il sorpasso di Dino Risi. Sessant’anni dopo il testimone passa dal Bruno Cortona di Vittorio Gassman a Patrizio Bati. Ma Gassman era una mammola rispetto a lui. E ovviamente c’è anche la vittima sacrificale, il Roberto Mariani di Jean Louis Trintignant.
La macchina non precipita in mare. Patrizio e gli altri si trovano, variamente malconci, spiaggiati a mezzacosta. C’è chi è gravemente ferito. Soccorsi Occorrono Subito. Ma i telefonini non pigliano o sono scarichi (non funzionano mai quando servono veramente). Bisogna arrampicarsi fino alla strada. Un’erta dura, rischiosa. A inerpicarsi è Andrea. Farà in tempo? Scatta il meccanismo a orologeria e la suspense sarà altissima.
Guardiamoli da vicino questi Felici Pochi, una tribù romana come lo erano gli Indifferenti di Alberto Moravia o gli Sfiorati di Sandro Veronesi. Patrizio è un fascistoide, ultrà della Lazio. Ha il mito della rissa: pestaggi allo stadio, in casa e fuoricasa. Pestaggi brutali, a freddo: la violenza per la violenza.
I Felici Pochi appartengono a famiglie ricche e potenti, studiano legge per diventare magistrati o ceo di multinazionali. Piazza Euclide è il loro quartier generale. Fanatici nel vestiario («I miei Cotton Belt nocciola chino elasticizzato doppia chiusura con bottoni»), nutrono una devozione particolare, quasi patriottica, per le loro camicie. Devono uscire dalle risse immacolate e intatte, come se fossero bandiere. È una questione d’onore. Il futuro dei Felici Pochi è segnato e si racchiude nella formula :« Tata inglese camerieri barche viaggi dolomiticircolo canottieri ani e ne ville al mare con piscina ». Sol oche questo mantra esistenziale stava per andare in fumo. Patrizio ha messo incinta una ragazza, Costanza. Ma di legarsi a vent’anni lui non aveva intenzione. Ora ha preso le sue precauzioni: «Ragazze gratis non ne volevo più. Solo puttane». Solo serate «jacuzziconescort» (con la partner che esegue in apnea un numero erotico).
I Felici Pochi amano gli scherzi. Per esempio il gioco del «Servizio Sustitutivo». Ne sono vittime gli extracomunitari alla fermata dell’autobus. Caricati con l’inganno dalla gang su una macchina, finiscono picchiati a sangue. No, non sono la versione romana degli amici miei di Monicelli i camerati di piazza Euclide. Quando imbroccano delle ragazze e uno di loro lancia l’urlo di battaglia: «Forza che stanotte ce le portiamo a casa mia al Circeo», allora con un brivido intravediamo, alle loro spalle, stagliarsi ombre lunghe, sinistre, criminali.
Arancia Meccanica de noantri? American psycho alla vaccinara? Ragazzi di vita sessanta e rotti anni dopo, con eroi non più sottoproletari borgatari ma pariolini viziati? Forse, più di ogni altra cosa, Bati e compagnia sono i cugini antipatici e perversi dei liceali borghesi narrati in un altro grande romanzo romano di questo stesso secolo: Con le peggiori intenzioni. Cugini come lo sono Gastone e Paperino. Il misterioso autore di Noi felici pochi è un Piperno nero.
Patrizio Bati è cresciuto in un brodo di coltura tutto suo. Prendiamo il titolo. Non viene da Shakespeare («We few, we happy few, we band of brothers»/ «Noi pochi, felici pochi, noi banda di fratelli»), dal discorso di Enrico V prima della battaglia di Azincourt il glorioso giorno di San Crispino del 1415. No, viene da Noi pochi, canzone di Gabriele Marconi« ex militante di terza posizione », hit dell’estrema destra con Shakespeare per ritornello.
La cultura di Patrizio Bati ha qualcosa di enciclopedico, nel senso di Wikipedia o di «Lo sapevate che...» della «Settimana enigmistica». Noi felici pochi è un romanzo che ha le note come se fosse un saggio. Si spiega, per esempio, tra parentesi quadre, cos’è il bombardino: «Prelibatezza a base di zabaione, whisky e panna montata», nata con i maestri di sci di Livigno e poi diffusasi nelle località sciistiche di tutto il mondo.
In un’altra nota, in uno dei momenti più drammatici della storia, si ricorda che l’opossum è un campione di tanatosi (l’espediente di fingersi morti in situazioni di pericolo per non farsi catturare o ammazzare). La nota forse più sentimentale è dedicata a Mike Francis (al secolo il fiorentino Francesco Puccioni), autore negli anni Ottanta di successi dance internazionali come Survivor. Di lui si ricorda che è sepolto a Ponza, l’isola che amava, nel cimitero che sta lentamente franando in mare.
L’enorme forza del romanzo sta nella scrittura: veloce, essenziale, sprezzante. Mai compiaciuta, gli effetti macabri controllatissimi: «I ricordi ancora si accalcavano come i corpi degli juventini all’heysel». L’unica civetteria letteraria (in fondo questi hanno fatto il classico al Mameli) è manzoniana. Un remix di «Addio, monti» che diventa un «Addio, Parioli». Paventando il matrimonio riparatore a vent’anni, Patrizio prende congedo dal suo stile di vita: «Addio amici, addio serate in discoteca passate barcollando alla ricerca di una f***, addio risse allo stadio, addio trasferte in macchina a cantare la Pausini con il braccio destro teso. Addio après ski sulle piste di Cortina. Addio piste aspirate su uno specchio tra le gambe aperte di una bella f***».
Torniamo al campo base. Alla macchina sospesa sul promontorio. Arriveranno in tempo i soccorsi? Qualcuno ha interesse a che non arrivino. Un morto farebbe comodo a molti. Il finale tesissimo di Noi felici pochi ha qualcosa di hitchcockiano. E molto di infame. Un mix che si ritrova solo in certe storie di Teresa Ciabatti. Chiunque sia Patrizio Bati qualche lezione da lei l’ha appresa.
Nell’epilogo, vent’anni dopo, si officerà un battesimo. La piccola si chiama Flaminia, la dinastia continua con il debito rispetto per l’onomastica romana. Da qualche parte, in qualche armadio di questa bella villa resterà uno scheletro. In saecula saeculorum. Noi felici pochi è un romanzo che cambia i connotati (nel senso più manesco dell’espressione) alla letteratura moderna e contemporanea. La prende a schiaffi e la costringe finalmente a dire verità che non ha mai voluto dire.