BEETHOVEN, STORIA D’UN AMORE TRADITO
I TORMENTI DELL’EROICA LA DEDICA A NAPOLEONE POI RITIRATA CON SDEGNO
L’appuntamento La Filarmonica della Scala apre la stagione il 4 novembre con la Seconda e la Terza Sinfonia. Quest’ultima, un capolavoro, racchiude tutti i principi morali che il compositore tedesco aveva visto in Bonaparte. Fino alla cocente delusione
Per quanti cercano le ragioni della musica nella musica stessa, la Sinfonia «Eroica» di Beethoven rappresenta l’atto di nascita di una nuova maniera; l’epifania improvvisa, seppur diligentemente preparata in strategiche tappe pianistiche, di un nuovo stile. È l’ingresso dell’irrazionale nelle levigate simmetrie classiche, la fusione in fluviale architettura di toni alti e bassi, di momenti seri (la marcia funebre) e giocosi (lo scherzo), di drammaticità e umorismo, di nevrosi soggettive e idilli pastorali.
Quanti invece preferiscono leggere le cose dell’arte alla luce delle cose della vita, dell’«eroica» conoscono a menadito le circostanze della genesi, l’infatuazione del musicista per Napoleone, l’esplicita citazione del tema di Prometeo che dall’olimpo scende sulla terra; poi la cocente delusione del musicista nell’apprendere che il Primo Console si è autoproclamato Imperatore – «anche lui non è altro che un uomo comune! (…) diventerà un tiranno!»: confida Beethoven al famulo e futuro biografo Ferdinand Ries, revocando la dedica al neoimperatore –; infine, la convinzione che probabilmente è bene che gli dei restino nell’olimpo.
Sbaglia solo chi è radicale. La genesi dell’«eroica» non spiega l’«eroica», tanto meno i suoi complessi tratti stilistici, per certi versi persino più rivoluzionari di quelli della «Nona». Ma è anche vero che nessuna analisi musicale potrà mai individuare da dove veniva a Beethoven l’energia creativa, ai limiti della visionarietà, che gli permise di creare un tale capolavoro.
Come Schiller, Hegel, Hölderlin, anche Beethoven amò il Bonaparte perché aveva creduto di intravedere incarnati in lui gli stessi principi morali (libertà, giustizia, progresso del genere umano) di Prometeo, appunto. Solo che il dio stava lontano, negli spazi del mito, mentre il Console calpestava gli spazi concreti e insanguinati dei campi di battaglia della storia.
Circa dieci anni dopo l’«eroica» Beethoven sarà lautamente pagato per comporre «La battaglia di Wellington», sorta di Inno alla Restaurazione che viene talora ancora usato come argomento per dimostrare la presunta inautenticità di tutto quel fervore per il Napoleone paladino degli ideali illuministici. A puntare il dito, del resto, sono stati gli stessi studiosi che mettono la dedica a Napoleone nel conto delle iniziative del musicista, volte a ottenere una lunga e ben remunerata serie di tappe concertistiche in Francia (progetto poi naufragato). Ma se l’episodio Wellington non rende effettivamente onore all’uomo Beethoven, come potrebbe minare l’autenticità del fervore dell’artista che aveva creduto di individuare nel Bonaparte l’eroe senza macchia che incarnava i suoi stessi ideali?
Non bisogna mai dimenticare che il musicista credeva fermamente che il ruolo principale dell’artista fosse, se non strettamente politico, morale: di contribuire cioè a rendere migliore il mondo, promulgando attraverso l’arte quegli ideali di libertà e giustizia che l’autore dell’«eroica» iniziò a riversare anche in «Fidelio», l’unica sua opera, che anche nel titolo afferma hegelianamente il primato dell’ideale sul miserabile reale.
Perciò, anche se aveva teatralmente stracciato il frontespizio del manoscritto della «Terza Sinfonia» recante la dedica «al Buonaparte» (sic) di fronte agli occhi di Ries — è sempre questi a raccontarlo — non negò mai a nessuno, fosse il suo editore o un amico confidente, che era stato quel gigante della storia moderna a ispirarne le note.
La scintilla? Invero non si sa. Ma ciò nulla toglie al fatto che le ipotesi in merito siano curiose. Secondo alcuni sarebbe stata la notizia della spedizione d’egitto di Bonaparte nel 1798; secondo altri la falsa notizia della morte di Lord Nelson nella battaglia di Abukir, sempre nel ’98; secondo altri ancora la morte (questa invece reale) del generale inglese Abercrombie nella battaglia d’alessandria del 1801. Non è da molto, infine, che s’è dimostrata fallace la tesi che il suggerimento di dedicare una Sinfonia al generale Bonaparte venisse a Beethoven da un diplomatico francese di stanza a Vienna nel 1798. Gli storici hanno infatti dimostrato che quel diplomatico a Vienna non aveva mai messo piede.
La composizione
Uno stile rivoluzionario, l’ingresso di ciò che è irrazionale nelle levigate simmetrie classiche
L’arrabbiatura «Anche lui è un uomo comune, diventerà un tiranno!», disse quando si proclamò imperatore