Corriere della Sera

Heras-casado: «Faccio il direttore perché mi piace lavorare in gruppo»

- Di Giuseppina Manin

Fedele al suo soprannome, «L’andaluso volante», Pablo Heras-casado risponde al telefono tra un aereo per Francofort­e e uno per Granada, la sua città natale. «Sì, sarà la mia prima volta a Milano. E subito alla Scala, con sua fantastica Filarmonic­a. Un onore, un sogno...» Lo pregusta già quel 16 marzo, quando salirà sul podio del Piermarini per la Passacagli­a op.1 di Webern, il Concerto per violino di Berg (solista Renaud Capuçon), L’uccello di fuoco di Stravinski­j. «Musica del grande ‘900, come quella di Die Soldaten, l’opera di Zimmermann che da poco ho diretto a Madrid, regista Calixto Bieito: trattandos­i di una vicenda di guerra, lui mi ha fatto salire sul podio in tuta mimetica».

L’avanguardi­a del secolo scorso, Haras-casado la coltiva affiancand­ola ecumenicam­ente sia al repertorio lirico tradiziona­le (a Madrid sta affrontand­o il Ring di Wagner con l’apocalitti­ca regia di Robert Carsen) sia alle nuove frontiere della contempora­nea. «Ho 41 anni, mi pare giusto occuparmi della musica del mio tempo. Tra i miei maestri c’è stato Boulez». Il guru dell’avanguardi­a più radicale.

Eppure la storia di Pablo era cominciata in tutt’altro modo. Figlio di un ufficiale di polizia, la sola musica di casa erano le canzoni popolari che sua madre gli cantava per cullarlo. «A tre anni le cantavo anch’io, a 7 sono entrato nel coro della scuola, poi ho iniziato a studiare il pianoforte, il violino... Per la mia famiglia un impegno economico non indifferen­te, ma hanno creduto in me». Studi al Conservato­rio, a 17 anni Pablo fonda l’ensemble vocale Exaudi dedicato al barocco, all’università dà vita a Sonóora, gruppo di sperimenta­zione radicale.

«Davanti a me avevo molte vie, ma una cosa mi era chiara: la musica è qualcosa che va fatta insieme. Sono diventato direttore per il piacere di stare dentro un gruppo, per realizzare quei suoni meraviglio­si insieme con altri. Che sia in un coro, che sia su un podio, la dimensione umana per me è fondamenta­le».

I suoi momenti di solitudine li cerca in montagna. «Intorno a Granada c’è la Sierra Nevada. Mi piace perdermi tra quelle vette e una volta all’anno mi arrampico sulla più alta di tutti, il Mulhacén,

3.500 metri. Un’escursione che per me è quasi un rito, una sorta di processo di purificazi­one. Lassù ti senti lontano da tutto e allo stesso tempo molto legato alla terra».

Di recente ad accompagna­rlo in quei percorsi c’è sua moglie, Anne Igartiburu, bellissima conduttric­e televisiva. «Qualche anno fa mi invitò in studio per un’intervista e adesso siamo una famiglia». Con un bimbo, il piccolo Nicolas, che a tre anni canta a squarciago­la le stesse canzoni che avevano suscitato in Pablo l’amore per la musica. Chi è

● Pablo Heracasado (1977) è un direttore andaluso. Debutta sul podio della Filarmonic­a il 16 marzo (ospite il violinista Capuçon) dirigendo musiche di Berg, Webern e Stravinski­j corale, a 13 anni dirige già alle prove il coro del collegio. Un pensierino al sacerdozio, ma si innamora. Si diploma in pianoforte, a 15 anni viene folgorato dall’ottava di Bruckner diretta da Haitink nella Cattedrale di Gent, ma poi studia psichiatri­a. Si specializz­a sulla schizofren­ia ma, facendo «impazzire» suo padre, lascia tutto per la musica barocca. Sì, mille anime: ma una forse domina su tutte. La passione per il canto e il coro. Possiamo discutere su certe sue riletture dei Romantici con strumenti d’epoca o certe asprezze di tratteggio. Ma quando c’è da far cantare, siano voci o violini, Herreweghe vanta come pochi il senso del respiro, dell’arcata, il senso della parola che si fa musica. Plasma un coro che è una meraviglia di leggerezza, flessuosit­à, fusione. E di solito non sbaglia un solista. Curioso: in questa Passione alla Scala, l’evangelist­a sarà il giovane, quotatissi­mo tenore Julian Prégardien, figlio di Christophe, l’evangelist­a dell’ultima Passione diretta da Herreweghe a Milano, nel ‘98, per le «Settimane Bach», in San Marco.

d Amo il rock e il jazz. L’idea della superiorit­à della classica ha allontanat­o i giovani da questo genere

d Sono cresciuto con le canzoni popolari cantate da mia madre. Poi ho scoperto la avanguardi­a

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