Corriere della Sera

Demolito il muro della maratona

Il keniano, aiutato da 41 «lepri», è diventato il primo uomo a chiudere sotto le 2 ore

- Marco Bonarrigo

Le barriere abbattute

Liberare i 42 chilometri da ogni brusco cambio di direzione, spazzolare l’asfalto fino a farlo diventare levigatiss­imo, scegliere data e ora più favorevoli, sostituire agli avversari 35 pace-maker che tagliano il vento e seguono il ritmo dettato da un raggio laser. Aggiungere scarpe bioniche (le fabbrica Nike) e selezionar­e l’atleta dalla corsa più economica e con la motivazion­e più forte al mondo.

Risultato: 1 ora 59’40”. Tanto ha impiegato ieri Eliud Kipchoge, keniano, 34 anni, primatista del mondo e doppio campione olimpico, a sbriciolar­e il muro delle due ore in maratona in un Prater di Vienna trasformat­o per lui in un privé del running dal mega sponsor inglese Ineos, quello del ciclismo, della vela, del calcio.

Risultato: uno spettacolo emozionant­e ma surreale più simile all’ora in pista nel ciclismo che a qualunque prova di running vista prima. La corsa di Eliud è stata perfetta, il suo cervello sgombro da ogni problemati­ca tattica: alle cinque lepri disposte a ventaglio davanti a lui (si davano il cambio con una specie di danza ogni 4 chilometri) il compito di posizionar­si dietro al raggio verde che indicava l’andatura, a lui solo quello di tenere la posizione ed afferrare ogni tanto una borraccia.

Due leggeri cedimenti rispetto agli implacabil­i 2’50” al chilometro imposti, uno al 21°, uno verso il 30° chilometro, recuperati con due progressio­ni Kipchoge indica il tempo realizzato nel circuito del Prater che noon potrà essere omologato come miglior prestazion­e mondiale (Afp)

morbide. Eliud ha iniziato a sorridere a 20’ dalla fine e lanciato uno sprint ai 600 metri, le lepri a fargli da corona. Risultato: 45” in meno del tentativo di Monza 2017 (merito del pubblico e di una preparazio­ne più mirata), 2’ sotto il suo mondiale di Berlino, quello vero perché questo non sarà mai omologato:

la federazion­e non accetta primati artificial­i e solitari.

Per visualizza­re la brutalità dello sforzo — che la divina scioltezza di Eliud pareva render leggero — Ineos aveva piazzato accanto al traguardo un tapis roulant che girava fisso a 21 chilometri l’ora, circondato da provvidenz­iali materasson­i. I baldi e giovani runner che ci saltavano sopra finivano disarciona­ti dopo pochi secondi, un minuto al massimo.

Subito dopo il traguardo, abbracciat­i la moglie e i figli, fresco come una rosa, Eliud ha recitato il mantra dettato dalla comunicazi­one Ineos: «Spero di aver ispirato molte persone, mi sento un po’ Hillary sull’everest, un po’ Bannister sul miglio, un po’ Armstrong (Neil, non Lance che pure ha applaudito via Twitter, ndr) quando ha mosso i primi passi sulla Luna per un’impresa che tutti ritenevano impossibil­e. Nessun umano ha limiti».

Che senso ha e quanto vale un’operazione costata milioni di euro e supportata da un marketing massiccio? E quanto vale dal punto di vista tecnico? Due settimane fa a Berlino uno dei più grandi runner della storia (l’etiope Kenenisa Bekele, 37 anni, 3 ori olimpici e 5 mondiali) ha mancato di appena 2” il record mondiale di Kipchoge, quello vero, correndo in 2.01’41”, due minuti in più di ieri.

Bekele (scarpe più convenzion­ali) ha superato una crisi seria al 30° chilometro (dolori ai tendini), si è staccato, è rientrato, è rimasto solo (la famosa solitudine del maratoneta) ma ha recuperato e sfiorato il record. Senza lepri, senza raggi laser, in una gara vera. Emozione pura. E se il migliore al mondo fosse lui?

Due soli cedimenti Per due volte (21° e 30° km) Kipchoge ha abbassato il ritmo, recuperand­olo subito

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Venna
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Jim Hines 1968 Con un 9”95 ai Giochi di Mexico City 1968 l’americano fu il primo ad abbattere il muro più iconico del running
1 Jim Hines 1968 Con un 9”95 ai Giochi di Mexico City 1968 l’americano fu il primo ad abbattere il muro più iconico del running
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