Corriere della Sera

Baggio, lacrime ed emozioni «Ripenso a quel rigore»

«Mi meritavo il Mondiale 2002 per cancellare l’errore di Pasadena»

- DAL NOSTRO INVIATO Carlos Passerini

TRENTO Le lacrime di Baggio. E mica solo le sue. Gli occhi lucidi in realtà li avevano in molti, ieri al teatro Sociale di Trento, dove è andato in scena il momento clou della terza giornata del Festival dello Sport. Un pomeriggio di enormi emozioni, senz’altro il più intimo fra quelli, già moltissimi, vissuti fin qua. Ma Baggio è Baggio. Gente in coda quattro ore prima. Per vederlo, per sentirlo. Lui che peraltro non ha mai amato parlare, che ha sempre preferito esprimersi col calcio, sul campo, più che con le parole. Da brividi il faccia a faccia con Andrea Monti, direttore della Gazzetta dello Sport. Riflession­i sulla vita, sullo sport, sulla famiglia, sul domani. Roby, commosso, si è dovuto fermare più volte. Troppa l’emozione. Come quando è stato accolto con un minuto di applausi. Un minuto vero, non per dire. Qualcosa di straordina­rio. Come Baggio. Che a quindici anni dal suo addio, e nonostante un mondo del calcio che produce campioni o presunti tali in quantità industrial­e, resta ancora nel cuore di tutti. Forse perché Baggio è stato, se non di tutti, di molti.

Juventus, Milan, Inter, Bologna, Brescia: fra platea e palchi spuntavano tutte le maglie della sua vita. Compresa quella della Nazionale. L’azzurro gli ha riservato momenti splendidi, altri durissimi. Come il ricordo di quell’esclusione bruciante e immeritata dal Mondiale 2002, che è ancora vivo, vivissimo, nella sua mente. «Per una volta farò la figura del presuntuos­o: avrei meritato di essere convocato. Giocare quel Mondiale è qualcosa che il calcio mi doveva, ma non è stato così. Forse è anche per questo che mi sono allontanat­o da questo sport e che non ho voglia di tornare» ha detto con gli occhi lucidi. Invece l’allora c.t. Trapattoni lo lasciò a casa. «Fu una delusione profonda, simile a quella di Pasadena. Perché in me c’era tanta voglia di rivincita proprio dopo quel rigore sparato alto. Non ne ho mai tirato uno così in vita mia, forse uno alto, ma non così tanto sopra la traversa. A volte ancora prima di andare a dormire ci ripenso».

Non hai mai nascosto le sue fragilità, Baggio. Non lo faceva da giocatore, non lo fa ora. Come quando torna a raccontare l’estate del 1989, quella del suo celeberrim­o e contentiss­imo passaggio dalla Fiorentina alla Juventus, con la guerriglia urbana a Firenze. «Ci voleva solo un po’ più di chiarezza da parte della società. Bastava dire che non rientravo più nei piani e che mi avevano già venduto. C’era il Mondiale alle porte, tutti parlavano di quel trasferime­nto e io stavo bene in città. Non me ne volevo andare. Purtroppo ci sono stati tre giorni di guerriglia perché i tifosi non accettavan­o questa decisione e io mi sentivo in parte colpevole di quello che accadeva. A distanza di tempo è venuto fuori che io ho subito quella situazione».

Una confession­e senza remore, quella del numero dieci. Gli esordi al Vicenza, gli anni alla Juve, l’inter, il Milan, l’epoca di Bologna, la rinascita finale col Brescia, gli screzi con Lippi, l’amicizia. Gli allenatori. Come Mazzone, «che mi ha insegnato la semplicità». E poi gli infortuni alle ginocchia, il razzismo. La caccia: «Ci andavo con mio padre e mi ricorda lui. L’emozione non è solo lo sparo, ma tutto quello che c’è prima». Il denaro: «Gli va dato il giusto valore perché ci sono cose che non si possono comprare». Il buddismo, ovviamente: «Ho avuto la fortuna di trovare il mio maestro, Daisaku Ikeda, uno in cui rivedo mio padre, e devo a lui molto di quello che ho fatto».

Infine, il futuro. Che però sembra sempre più lontano da quel calcio che non lo ha dimenticat­o. «Non so se ho voglia di tornarci. Quando ero in Figc il mio ruolo non aveva un grande peso e un grande significat­o. Speravo di lasciare un segno facendo un progetto indirizzat­o ai giovani che per me sono sul futuro. Non me n’è stata data l’occasione. Ora ho una vita semplice e senza pensieri. Mi piace così».

La delusione

«Non so se ho voglia di tornare nel calcio: quando ero in Figc non avevo grande peso...»

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Saluto Gregorio Paltrinier­i, campione olimpico dei 1.500 sl

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