«L’isola delle Rose», l’utopia indipendentista del ’68
Una vicenda così inverosimile da essere vera: neanche il più fantasioso degli sceneggiatori avrebbe potuto inventarsela. È L’incredibile storia dell’isola delle Rose il nuovo film di Sydney Sibilia — dopo la trilogia Smetto quando voglio — che lo ha scritto con Francesca Manieri.
L’utopia, folle e concreta, uscita dalla mente dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa (nel film Elio Germano) che il primo maggio 1968, mentre dalla Francia soffiava potente il vento di rivolta, proclamò la Repubblica Esperantista dell’isola delle Rose, Insulo de Rozoj in esperanto, lingua ufficiale. Una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati costruita (grazie a un suo avveniristico brevetto) al di fuori delle acque territoriali italiane, a circa undici chilometri al largo di Rimini. «Un film che parla di libertà, utopia, partecipazione e di come la libertà assoluta spaventi. Rosa era un visionario che, mentre altri volevano cambiare il mondo, decide di costruirsi il suo».
Un mondo con una moneta propria, lingua e emissione filatelica propri, persino l’acqua potabile. Come spiega con passione — nella scena che si sta girando sull’isola fedelmente ricostruita negli studi di Rinella a Malta (gli stessi di Dunkirk e Pirati dei caraibi) — il Giorgio Rosa di Germano alla futura moglie (Matilda De Angelis). Agli occhi della donna quel posto pieno di ragazzi che ballano il Geghegé, altro non è che una «discoteca con il nome in esperanto e una barista carina». Diventerà molto di più, il caso arriverà fino all’onu e al Consiglio d’europa per rimbalzare a Roma, sul governo di Leone (Luca Zingaretti) e del ministro dell’interno Restivo (Fabrizio Bentivoglio).
«Giorgio Rosa era un sessantottino sui generis, un pioniere, un nerd ante litteram, siamo andati a conoscerlo qualche anno fa a Bologna dopo aver scoperto la sua storia grazie alla foto della palafitta vista per caso su Wikipedia», spiegano Sibilia e Matteo Rovere, i fondatori di Groenlandia che produce con Netflix.
Un personaggio unico, l’ingegnere che già ha ispirato il romanzo di Veltroni L’isola e le rose. Uno spirito libero, imprenditore edile, insofferente delle pastoie politico-burocratiche italiane. «Non potevi fare nulla che i politici non volessero», scrisse nel memoriale redatto per una rivista inglese «Il fulmine e il temporale di Isola delle Rose». Non fu la tempesta a porre fine al suo sogno. «Fu occupata dalla polizia, sottoposta a blocco navale e fatta brillare». È morto due anni fa. Ma quel sogno, potenza del cinema, sembra più vivo che mai.