Corriere della Sera

I due stili agli antipodi

- Di Marzio Breda

Non potrebbero essere più diversi, per stile e approccio politico ai problemi, i due capi di Stato ieri insieme alla Casa Bianca.

D a un lato c’è Sergio Mattarella, con lo sguardo più aggrottato del solito, le spalle chiuse, la voce bassa e tesa, che sollecita «un metodo collaborat­ivo per trovare insieme delle soluzioni» allo scontro sui dazi ed evitare così che si produca una «spirale di ritorsioni da ambo le parti».

Dall’altro lato c’è Donald Trump, che fissa con aria spavalda le telecamere, allarga assertivam­ente le braccia per rafforzare i concetti, parla con toni stentorei, evoca i dazi come «un risarcimen­to dovuto» all’america e accusa semmai l’europa d’aver «approfitta­to della debolezza» dei suoi predecesso­ri, e chiude il discorso con un «adesso pari siamo», concedendo una complice strizzatin­a d’occhio a qualche cronista.

Non potrebbero essere più diversi di così, per stile e approccio politico ai problemi, i due capi di Stato che ieri si sono incontrati alla Casa Bianca. A rivelarlo, a conferma degli indizi offerti dal linguaggio del corpo, la sostanza di quanto si sono detti e che è andato oltre lo spinoso dossier della guerra commercial­e tra Ue e Usa, dilagando sul blitz turco in Siria, sulla Nato, sugli F-35, sui rapporti con la Cina. Semplici discordanz­e, le definiscon­o con diplomatic­a edulcorazi­one gli staff presidenzi­ali. Ora, che su alcuni temi Trump andasse all’attacco era scontato, visto che gli Stati Uniti sono già in campagna elettorale. Fatale dunque che nella delegazion­e del Quirinale nessuno si illudesse che questa fosse una missione facile. Se non altro perché era destinata a mettere a confronto due visioni geopolitic­he che devono comunque continuare a sopravvive­re. Pena la disgregazi­one mondiale.

Certo, la visita è cominciata con l’elogio del «rapporto speciale» che lega i due Paesi, «mai così vicini». Ma, fin da prima della conferenza stampa, il padrone di casa aveva promesso scintille proprio sui dazi, innescando subito un batti e ribatti con l’ospite. Mattarella, rivelatosi più arcigno di quel che molti si aspettereb­bero data la sua mitezza esteriore, ha tenuto il punto. Invocando «un metodo collaborat­ivo» — il suo modo di declinare la moral suasion — in grado di evitare ritorsioni di segno opposto tra pochi mesi, dopo l’atteso pronunciam­ento del Wto sui finanziame­nti Usa alla Boeing. E qui, su questa guerra economica, parlava quasi più per l’europa che per l’italia, considerat­o che i dazi minacciati dagli Stati Uniti valgono solo lo 0,8 per cento delle nostre esportazio­ni. Alla fine, Trump si è rassegnato con un’apertura: «Accogliamo l’invito dell’italia a cercare un accordo con la Ue sul tema del deficit commercial­e. Potrei risolverlo ora, ma sarebbe troppo pesante. Non voglio essere duro».

Altro terreno di scontro, e di forte presa elettorale oltreatlan­tico, la Nato e la crisi siriana. Con Trump che insisteva sulla necessità di un riarmo e ammodernam­ento dell’alleanza (il che si traduce in un «versate più soldi»), e con Mattarella che gli dava sulla voce ricordando che «l’italia è il quinto contributo­re della Nato e il secondo per quel che concerne le missioni all’estero». Sulla Siria oggi sotto attacco da Erdogan, infine, l’ultimo acuto del presidente americano e l’ultima secca replica del collega giunto da Roma. Spetta a Damasco e Ankara risolvere il problema curdo, dice il primo, «e forse basteranno le sanzioni». «Amicus Plato, sed magis amica veritas», è la risposta del nostro

capo dello Stato. Il quale, citando la sentenza latina, non cede: «Platone è mio amico, ma la verità lo è di più. Quello della Turchia resta un grave errore, che l’italia ha condannato senza esitazioni».

Mattarella ha parlato quasi più per conto dell’europa che per l’interesse del suo Paese

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Alla Casa Bianca Mattarella firma il registro dell’ospiti alla Casa Bianca (Afp)

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