Corriere della Sera

Siena, in 26 sotto inchiesta. Perquisizi­oni in tutta Italia

- Simona Lorenzetti Valentina Marotta

SIENA Nella chat dell’orrore, chiamata «The Shoah Party», giravano anche filmati di adulti che abusano di neonati. E ancora altri video a luci rosse con adolescent­i come protagonis­ti, slogan inneggiant­i a Hitler, a Mussolini e all’isis, insulti a migranti, ebrei e disabili. Tutto su Whatsapp: da circa un anno un gruppo di studenti di Siena avrebbero scambiato con coetanei immagini raccapricc­ianti e commenti feroci. Poi altri gruppi clone sarebbero partiti anche a Torino e Roma.

A scoprire il campionari­o dell’orrore, dopo la denuncia di una mamma che si era imbattuta in quei filmati sul cellulare del figlio, i carabinier­i del Nucleo investigat­ivo di Siena. Nei giorni scorsi, su disposizio­ne del Procura per i Minori e della Procura della Repubblica di Firenze sono scattate le perquisizi­oni non solo a Siena ma anche in Piemonte, Lazio, Campania e Calabria. Sono finiti sotto sequestro 100 apparecchi tra cellulari, notebook e chiavette Usb.

Ventisei le persone indagate, a vario titolo, per detenzione e divulgazio­ne di materiale pedopornog­rafico, istigazion­e all’apologia di reato con lo scopo di incitare alla discrimina­zione razziale. Si tratta di studenti, di età compresa tra i 15 e i 19 anni, tutti di buona famiglia. Nei guai sarebbero finiti anche il padre e la sorella di uno dei giovani, ai quali erano intestati i cellulari. Ma a gestire la chat dell’orrore pare vi fossero anche quattro ragazzi, poco più che bambini, tutti di età inferiore ai 14 anni e, per questo, non imputabili.

Dalle indagini è emerso che oltre 300 ragazzi hanno avuto accesso tramite Instagram a quelle chat, dove ogni giorno venivano postati almeno quindici «meme». Tra i file sequestrat­i sulla «The Shoah Party» c’è anche un video in cui un ragazzino extracomun­itario si lancia nel vuoto da La vicenda

● Video e messaggi a luci rosse, con immagini pedopornog­rafiche e violente. Girava tutto su una chat di Whatsapp partecipat­a da un gruppo di studenti di Siena.

● Altri gruppi anche a Torino e Roma. C'è un'inchiesta un palazzo. Anche qui, il commento è feroce: «Evviva, uno di meno!».

Nel Torinese sono sette invece le famiglie che ora devono fare i conti con il mondo oscuro che ha avvelenato i loro figli. «Adesso — racconta il papà di uno dei ragazzini finiti sotto inchiesta — arriva la parte più difficile. Far capire al mio ragazzo la gravità di quella chat. Mi sono reso conto che lui ha vissuto tutto come un gioco, non ha percepito l’atrocità di quelle immagini e di quei video». L’uomo ha 44 anni e due figli. «Anch’io sono stato indagato, perché la scheda del cellulare è intestata a me. Ma era in uso a mio figlio di 14 anni. È assurdo, lui risulta anche amministra­tore della chat, ma io gli credo quando mi dice che non sapeva di esserlo». Ancora: «Ho chiesto a mio figlio perché non gli fosse venuto il dubbio che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stava facendo. Non è riuscito a spigarmelo».

Il ragazzo presto verrà sentito dai magistrati, e con lui il papà. «Non ho nulla da nascondere e il mio ragazzo dirà la verità. Ha sbagliato e ora affrontere­mo anche un percorso con uno psicologo. Né io né sua madre lo abbandoner­emo: usciremo insieme dall'incubo».

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