«Io, agnostico dal Papa La nostra sfida comune per cibo e ambiente»
Carlo Petrini: con Francesco un libro-dialogo sull'enciclica
Carlo Petrini, come è nato l’intervento del fondatore di Slow Food al Sinodo?
«Mi ha chiamato il Papa. Mi ha detto di andare là».
E Lei?
«Ho accettato. Ma ho spiegato che sono agnostico».
E lui?
«E lui ... ha detto che sono un “agnostico pio”. Allora sono andato e ho visto un’umanità straordinaria».
Ad esempio?
«Gente che lotta accanto ai popoli dell’amazzonia per difendere la Foresta. Gli indigeni. Donne in prima fila nella tutela dei diritti e della terra. Ho ascoltato interventi bellissimi. Devo dire: non immaginavo».
Il Papa lo conosceva. È vero che scrivete un libro?
«È già un po’ che ci lavoriamo. Dovrebbe essere pronto entro marzo. È un dialogo. Prioritariamente riflessioni sull’enciclica Laudato sii». La vicenda
● Sul «Corriere della Sera» di ieri (nella foto sotto) è stata pubblicata ● «Nostra Madre Terra» sarà in libreria dal 24 ottobre
Considerazioni sull’ambiente in pericolo?
«Ma anche considerazioni legate al proprio vissuto».
Di quale genere?
«Il Papa ha ricordi molto belli legati alla sua migrazione. È cresciuto in una famiglia di migranti di origini piemontesi in una Buenos Aires degli anni 40-50. E ha conservato il rispetto per il cibo come componente per dimostrare affettività».
Cosa c’entra il cibo con l’enciclica sull’ambiente?
«Non è un’enciclica verde. Ma è un’enciclica sociale. Il Papa esprime in maniera molto alta un concetto: tutto è connesso. E non si può parlare dell’ambiente se non si parla di sofferenza, specialmente dei poveri, della sostenibilità e di un doveroso paradigma produttivo. Il problema é che e stata poco capita. Da mondo laico ma anche dai cattolici».
Ha parlato di questo al Sinodo?
«Ho parlato del cibo come valore relazionale. Il cibo, quando è buono, pulito e giusto ha una potenza straordinaria che può tutelare la biodiversità umana e naturale, favorire l’interazione e il meticciato, garantire una buona salute. Ma ho parlato anche delle donne».
Perché?
«Nella vita di ciascuno c’è una mamma o una nonna che attraverso l’educazione al consumo corretto del cibo ci ha trasmesso quella intelligenza del cuore, alla base della nostra esistenza. Ma anche dell’importanza dell’agricoltura e della raccolta: gli indigeni dell’amazzonia tutelano la foresta con i loro saperi».
Ha lanciato l’allarme su agroindustria e monoculture. Perché?
«Un’umanità che cresce e che ha bisogno di cibo non può permettere che venga sfruttato da pochi e non messo a disposizione dei tanti. La minaccia dell’agro-industria, dell’accentramento di potere, delle monoculture e degli allevamenti intensivi, legata alla deforestazione, alla crisi climatica e all’aumento della forbice tra ricchi e poveri, va combattuta».
Come considera le politiche per l’ambiente?
«Inadeguate. La situazione richiede una mobilitazione più forte. È positivo che i giovani rivendichino risposte perché sentono di non avere futuro. Ma la sofferenza del pianeta la vediamo tutti. Anche da noi. Con le bombe d’acqua. Con i ghiacciai che si sciolgono sotto i nostri occhi. Non si può più stare silenti».
Come è arrivato fin qui?
«Sono nato nelle langhe L’amore per la buona cucina e i vini è venuto con i piatti di nonna Caterina e mamma Maria. Quando ho capito che era un valore con l’arrivo dei fast-food mi prendevano per pazzo: “Eh tu con questa mortadella, sono cose superate”.
Invece?
«Invece è venuto fuori che molti prodotti rischiavano di scomparire e sono nati i presidi slow-food e Terra Madre: contadini e pescatori che difendono la biodiversità».
E ora?
«Bisogna difendere la distribuzione vicina alle comunità. Far rinascere i borghi con botteghe gestite dai giovani. Serve all’agricoltura e al turismo. Ed è il bello dell’italia».