IL CALCIO IN TURCHIA, UNO DEI PILASTRI DEL POTERE DI ERDOGAN
C’è grande polemica nel mondo del calcio. A suscitarla è il furore nazionalista con cui i giocatori della nazionale turca accompagnano la criminale azione militare lanciata da Ankara contro i curdi nel Nord della Siria. La Federcalcio anatolica è nel mirino dell’uefa, dopo che Kaan Ayhan, lunedì sera a Parigi, ha festeggiato il suo gol dell’1-1 contro la Francia facendo il saluto militare, imitato dai compagni. Perfino l’allenatore, Senol Gunes, ha difeso Ayhan, che gioca nel Fortuna Düsseldorf, definendo il suo «un gesto d’incoraggiamento per i nostri soldati». Lo stesso presidente della Federazione, Nihat Özdemir, fedelissimo di Recep Tayyip Erdogan che lo ha voluto personalmente in quell’incarico, sin dalla prime ore dell’offensiva ha detto che tutto il calcio turco, giocatori e dirigenti, «è con le preghiere al fianco dei nostri militari». Ma il nazionalismo è solo una faccia della verità. L’altra è che il calcio, specchio della società turca, è uno dei pilastri del potere del Sultano. Erdogan, in gioventù calciatore e appassionato della materia, lo strumentalizza senza remore. «Calcio e politica hanno molto in comune — ama ripetere — la lotta è l’essenza di entrambi». Oltre alle presenze allo stadio, che sia la nazionale, il Besiktas o il Galatasaray, gli incontri con le star del calcio sono in realtà centrali alla sua narrazione. Non che il Sultano debba sforzarsi per convincere i giocatori a salutare le sue imprese militari. Dall’italia, auguri per l’esercito che massacra i curdi sono arrivati da Under (Roma), Demiral (Juventus) e Calhanoglu (Milan). «Ogni turco è nato soldato» dice l’adagio, che tradisce un rapporto stretto della società con i militari.
Tanta passione suggerisce un sospetto: cancellare la finale di Champions League, prevista a Istanbul il 30 maggio, forse farebbe male a Erdogan più di ogni sanzione.
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