Corriere della Sera

Duecento coristi per Pappano: ritmo e armonia

- Di Enrico Girardi

Nel Requiem di Berlioz è molto sottile la linea di confine che demarca un’autentica, profonda dottrina da una ricerca di spettacola­rità tanto esasperata da risultare velleitari­a. E così, una scrittura che affonda le radici nella storia corre persino il rischio di passare per visionaria. Al di là del suo immenso organico, la Grande Messe des morts — questo il vero titolo — si esegue poco perché non ripaga del tutto il coraggio di chi vi si addentri. Antonio Pappano però accetta la sfida ed esegue il brano quando i riflettori sono puntati addosso più che mai: al concerto inaugurale della stagione di Santa Cecilia.

Con quasi duecento coristi (ai ceciliani si aggiunge il Coro del San Carlo di Napoli) e l’orchestra a pienissimo organico, l’impatto sia visivo sia sonoro è impression­ante. Le sfasature berliozian­e tra ritmo e armonia, tra unisoni squassanti e delicati impasti cameristic­i, producono quasi smarriment­o. L’integrazio­ne tra i gruppi corali peraltro non è indolore. E gli infiniti acuti mettono non poco in crisi l’intonazion­e di soprani e tenori: non però dell’eccezional­e Javier Camarena, il solista. Pappano viene a capo della folle operazione seguendo le vie maestre della teatralità del passo e del colore con la musica dipinge ogni parola. Un terribile senso del divino trova così pace con il tratto di profonda umanità, fragile ma insistente, di questa musica. Il teorema resta impossibil­e da risolvere ma l’effetto sulla platea è potente. Chissà quando si riascolter­à il Requiem di Berlioz. Ma il ricordo di questa serata sarà duraturo.

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