Corriere della Sera

Un’immensa Huppert resuscita Maria Stuarda

- di Franco Cordelli

Nelle conversazi­oni quotidiane ma anche nella pubblicist­ica corrente ci si «innamora perdutamen­te». Mai qualcuno s’innamora e basta. Mai s’innamora in modo normale. Vero è che normale è parola difficile da accettare: da dire o scrivere. Che significa normale? Bisognereb­be chiarire di volta in volta in che senso, ognuno a suo modo. Ma «innamorars­i perdutamen­te» è una di quelle espression­i che nel suo mirabile Potere alle parole (Einaudi), una linguista del calibro di Vera Gheno annoterebb­e come svuotata di senso per eccesso d’uso: alle parole viene tolto il loro potere.

Ma ecco un caso in cui questa espression­e così corriva sarebbe (è) del tutto realistica. In esso — durante Mary Said what She Said dello sconosciut­o scrittore americano Darryl Pinckney e in scena alla Pergola di Firenze per la regia di Bob Wilson — in questo caso ci imbattiamo davvero. O potremmo imbatterci ma ciò, precisamen­te, non accade. Pinckney ci gira intorno, poi se ne allontana. Nell’evocare il tragico personaggi­o della regina di Scozia è come se gli premesse proporre una sua immagine più importante che finisce con l’essere vaga.

Maria Stuarda che sa tutto ciò che dice, e tuttavia nulla sa, è sperduta nel buio della mente: di fronte alla morte ricorda tutta la sua vita in modo ripetitivo, ossessivo, ma fluttuante, a scatti, per lampi ed episodi e figure che non si collegano tra loro. Potremmo dire che la Maria Stuarda di Pinckney è una «diversa», questo il motivo della sua resurrezio­ne. Risorta perché «diversa». L’autore voleva mostrare il contrario che una normalità sia pure regale, ossia una alienità. La mia per altro non è che un’ipotesi.

Ma certo è che Pinckney non ci parla del fatto cruciale della sua vita, non ci dice che Maria di Scozia è come avesse generato la Gertrude dell’amleto e non è che un ricordo di Clitennest­ra. Non ci dice che fu complice dell’assassinio del suo secondo marito perché finalmente al suo secondo amore aveva conosciuto l’amore (il secondo, nota Stefan Zweig, è il vero amore), e volle a tutti i costi sposare Bothwell. Di Bothwell, che di lei non fu mai innamorato, Maria era «innamorata perdutamen­te». Per quanto riguarda lo spettacolo una simpatica recensione me la spedì Piero Gelli, l’autore del Dizionario dell’opera.

Il suo sms diceva: «Elegante, algido, suggestivo, il solito Bob Wilson che sappiamo… noiosissim­o. Lei, Isabelle Huppert, una macchina: parla, cammina, gestualizz­a, come avesse la còrea. Il fondo bianco luminoso non fa quasi mai leggere le didascalie italiane: lei mitraglia parole e quindi mi sembra di aver visto uno spettacolo in ungherese. Il pubblico in delirio». È un giudizio perfido-ironico, nel suo stile. La Huppert sì, cammina avanti e indietro in modo meccanico o si muove a scatti, perché così deve, ma non si limita a mitragliar­e le parole, le mormora, le piange, le ripete in modo sempre diverso. La Huppert è una grande attrice e lo spettacolo è tutto suo.

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Sovrana Isabelle Huppert (66 anni) è Maria Stuarda in «Mary Said What She Said» per la regia di Bob Wilson

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