Barricate, scontri e feriti: la battaglia di Barcellona
Sciopero (pacifico) degli indipendentisti. Ma i violenti incappucciati accendono gli scontri
Gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti che avevano costruito barricate e lanciato oggetti contro gli agenti. Continuano i disordini a Barcellona dopo la condanna dei leader secessionisti. In Spagna — viste le tensioni — è stato deciso di rinviare la partita Barcellona-real.
Lo sciopero indipendentista di ieri è riuscito, pacifico e massiccio come nella tradizione del «catalanismo», ma nella notte la faccia violenta, inedita, incontrollabile del movimento secessionista è tornata a bruciare cassonetti e tenere la città in ostaggio della paura.
La polizia ha parlato di scontri duri. Una decina gli arresti e 35 i feriti in un corteo parallelo a quello ufficiale. I testimoni dicono si tratti di «studenti», «antisistema», comunque incappucciati, mascherati e armati di mazze, biglie d’acciaio, acido e bottiglie molotov. Gli agenti in tenuta anti sommossa hanno risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Le azioni sono ormai criminali, ma la matrice resta quella indipendentista e porta discredito a tutto il movimento.
Per sicurezza è stata chiusa la Sagrada Familia, la basilica di Gaudí, e rinviato il «Clasico», il derby di Spagna tra Barcellona e Real Madrid. Il Barça avrebbe voluto giocare, perché convinto del «civismo» del suo pubblico, ma ha accettato la decisione senza polemiche. Sei crociere hanno cambiato rotta. Molte ambasciate consigliano di evitare la città.
I Mossos d’esquadra, i poliziotti catalani, sono gli osservati speciale di queste notti. Erano stati accusati di complicità nel referendum del 2017, ma nella gestione di questi disordini non sembrano concedere alcun trattamento di «favore catalanista».
La polizia ha tentato di rendere difficile il coordinamento dei violenti chiudendo la piattaforma «Tsunami democratic» che attraverso Telegram sorprendeva le forze dell’ordine. Si dice che tra gli ideatori dello Tsunami ci fosse lo stesso Carles Puigdemont che ieri si è presentato in un commissariato belga per rispondere al mandato di arresto internazionale che la Spagna ha emesso contro di lui. La polizia gli ha lasciato libertà di movimento. Puigdemont ha tre gradi di giudizio a disposizione prima di essere estradato.
Non è bastato a fermare le violenze neppure il silenzio glaciale cha ha incapsulato il successore di Puigdemont, Quim Torra. Il nuovo President secessionista ha sostenuto che l’unica via d’uscita è una nuova conta popolare. Magari non proprio un referendum come quello del 2017, nato illegale e finito con le condanne di lunedì. Basterebbero, secondo Torra, normali elezioni amministrative che tutto il mondo dovrebbe però considerare alla stregua di un plebiscito pro o contro la secessione. Un esperimento del genere è stato già tentato senza esito, ma Torra insiste. Dalla sua stessa maggioranza nessun applauso. La Barcellona per bene sta capendo che la priorità è fermare i vandali, non eccitarli con altre promesse. Centinaia di feriti, arresti, cassonetti in fiamme e decine di auto «vittime collaterali» di cinque notti di follia distruttiva sono un bilancio inaccettabile per l’immagine di Barcellona, sia come meta turistica, sia come soggetto politico.
Il direttore del quotidiano cittadino, La Vanguardia, ha cancellato ogni alibi a quei leader secessionisti che sembrano aver perso il senso del limite in uno Stato democratico. «A preoccupare di più — scrive Marius Carol — non è chi appicca il fuoco, ma chi è disposto a giustificarlo».
Le cinque «marce per la libertà» dei sindacati hanno riempito la città di giorno. La marea umana sul grande viale della Meridiana ha dimostrato ciò che si sa da almeno 7 anni: l’indipendentismo ha
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un seguito popolare impressionante. Circa la metà della popolazione catalana. Nella notte però, anni di recriminazioni, muro contro muro, accuse e contro accuse hanno acceso la violenza di centinaia di giovani. Tocca alla politica conciliare desideri diversi, altrimenti, prima o poi, qualcuno fa le barricate.