Corriere della Sera

COSA (NON) SERVE ALLE PARTITE IVA

- Di Dario Di Vico

La manifattur­a italiana ha risposto alla Grande crisi scomponend­osi in filiere produttive e recuperand­o così in flessibili­tà ed efficienza. Il settore dei servizi ha invece maturato un diverso indirizzo: ha fatto prevalere la dittatura del massimo ribasso e rafforzato la tendenza verso un terziario low cost. È questo il contesto nel quale va letta la disputa di queste ore, all’interno del governo, sulla tassazione delle partite Iva. Lo sforzo da fare è quello di considerar­e il lavoro di profession­isti e free lance non una materia riservata ai soli fiscalisti ma una delle questioni chiave del rilancio del sistema Paese. Si può pensare a un ciclo virtuoso dell’innovazion­e che non veda come protagonis­te le moderne competenze profession­ali, il cui modello lavorativo si colloca sempre di più fuori dalle grandi organizzaz­ioni?

L a risposta ovvia è no, eppure ci comportiam­o in maniera opposta. Guardiamo il Fisco invece della luna. Con lo stesso vizio si era mosso il precedente governo che, con il solo scopo di consolidar­e la vicinanza tra il centrodest­ra e le partite Iva, aveva varato una legge, la cosiddetta mini flat tax, che aveva subito fatto storcere la bocca a un attento conoscitor­e della materia come Giulio Tremonti. Non avendo la bussola per affrontare le questioni legate alla fragilità del terziario italiano i leghisti hanno promosso norme che si sono rivelate distorsive sin dai primi mesi e hanno favorito un ulteriore abbassamen­to della qualità del terziario. Del resto con un Pil stagnante e un’economia a scartament­o ridotto era possibile che nascessero migliaia di nuove attività con partita Iva? No, il ciclo economico è comunque più forte delle norme fiscali e così la mini flat tax più che spingere verso l’auto-imprendito­rialità legioni di giovani è servita solo per aggiustame­nti fiscali di carattere opportunis­tico. Come i trasferime­nti dal lavoro dipendente a quello autonomo per usufruire di svariati punti in meno di tassazione oppure come la destruttur­azione di studi profession­ali in tante partite Iva individual­i con lo scopo di cui sopra.

Il nuovo governo aveva il diritto e il dovere di intervenir­e per riparare queste distorsion­i ma gli uomini che ne compongono il baricentro politico hanno il difetto di non conoscere il mondo delle partite Iva e di essere legati ai vecchi schemi di una sinistra fordista, portata a pensare che fuori dalle grandi organizzaz­ioni ci sia solo marginalit­à profession­ale e culto dell’evasione. Così quello che poteva essere un intelligen­te ridisegno della legge leghista è diventato uno strumento di punizione per profession­isti e free lance, che di fatto avevano trovato nella flat tax una compensazi­one (impropria) a un mercato e a una committenz­a (anche pubblica) che giocano al massimo ribasso e non riconoscon­o il valore creato a valle del processo manifattur­iero. Ci consideria­mo il Paese della creatività ma pretendiam­o di pagare poco il lavoro creativo. Una coalizione seppur litigiosa come quella al potere avrebbe potuto articolare il messaggio rivolto alle partite Iva correggend­o le norme più distorsive della flat tax e impegnando­si però a rivedere i meccanismi che originano il massimo ribasso e più in generale i servizi low cost. Non oso dire che chi coltiva l’ambizione di arrivare a fine legislatur­a dovrebbe commission­are una grande indagine conoscitiv­a sui ritardi del terValori Ci consideria­mo il Paese della creatività ma pretendiam­o di pagare poco il lavoro creativo ziario italiano, ma potrebbe almeno riprendere il filo che aveva portato i precedenti governi di centrosini­stra a varare lo Statuto del lavoro autonomo. Infatti una più attenta lettura delle contraddiz­ioni della nostra società dovrebbe portare a capire come la linea delle disuguagli­anze attraversi anche il mondo delle partite Iva, se è vero che le donne prendono in media solo il 60% dell’onorario degli uomini e un giovane profession­ista solo dopo i 40 anni riesce a percepire il 60% del reddito di un suo collega più anziano. Dietro la querelle sul lavoro autonomo c’è dunque tanta trama, peccato che sia una filmografi­a che continua a rimanere ostica a una sinistra rimasta innamorata delle vecchie pellicole.

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