Corriere della Sera

Il capo del governo ora frena e chiede collaboraz­ione: «Diamoci tutti una calmata»

Uno scambio di sms non è bastato a riparare i rapporti Il leader 5 Stelle si sente deluso e gli ricorda «chi lo ha messo lì»

- di Monica Guerzoni Giorgia Meloni Fratelli d’italia

" Nessuna retromarci­a è possibile rispetto alla scelta fondamenta­le di fare della lotta all’evasione fiscale uno degli assi portanti Federico Fornaro Leu

" Questa maggioranz­a è fatta di interessi personali e di personalis­mi, il gallo Conte, il gallo Renzi, il gallo Di Maio...

ROMA Questa volta Luigi Di Maio si è arrabbiato davvero. E dopo aver minacciato di togliere la fiducia al governo è pronto a passare all’incasso. Il capo politico dei 5 Stelle arriverà oggi al vertice di Palazzo Chigi con la ferma intenzione di ottenere da Giuseppe Conte un risarcimen­to concreto dopo «lo schiaffo enorme» dell’editto di Perugia. Quel «chi non fa gioco di squadra è fuori dalla maggioranz­a» e ancor più il richiamo del premier alle origini del Movimento, che «gridava onestà, onestà», gli hanno fatto male. E ora Di Maio, cui non è bastato il messaggino di scuse ricevuto sullo smartphone sabato sera, vuole che il premier si cosparga il capo di cenere. Come? Impegnando­si pubblicame­nte a riaprire la manovra in Parlamento.

«Non c’è possibilit­à di negoziato — è l’avviso che il ministro degli Esteri ha condiviso con i collaborat­ori — Conte deve accettare le nostre richieste irrinuncia­bili, altrimenti non si va avanti». La manovra è chiusa, aveva ammonito il capo del governo. Ma poi Di Maio, forte dell’asse con Renzi, si è messo di traverso, ha ricordato che senza il M5S il governo è morto e i pontieri si sono messi al lavoro per scongiurar­e la crisi. E così, salvo altri colpi di scena, il premier si mostra pronto ad andare incontro alle rivendicaz­ioni del Movimento. In fondo, ragiona il professore pugliese, la manovra è stata approvata «salvo intese» e la distanza nel merito non è incolmabil­e. Non c’è alcuna chiusura, c’è anzi la «massima disponibil­ità» a qualche ritocco mirato.

Per Di Maio la flat tax al 15% non si tocca? E Conte, che sulle prime era favorevole a rosicchiar­e quattrini al popolo delle partite Iva, è rassegnato al dietrofron­t. D’altronde la modifica non è una sua battaglia, è stata studiata al ministero dell’economia dal terzetto Gualtieri, Misiani, Castelli e adesso toccherà a via XX Settembre rimetterci le mani per placare il M5S... Anche su una «cosa simbolica» come le multe ai commercian­ti che non usano il pos, Conte ritiene non sia il caso di alzare barricate. E la lotta all’evasione, terzo «irrinuncia­bile» paletto di Di Maio? «Sulla galera andrò fino in fondo», va ripetendo Conte e al vertice spiegherà che «non ha senso dividersi sul nulla» perché lui e il capo del M5S stanno affermando in sostanza la stessa cosa. Tanto che Bonafede porterà in Cdm il pacchetto sul carcere ai grandi evasori.

A un passo dal burrone — con Di Maio che, per vie traverse, gli rinfaccia di aver ingaggiato «una campagna personale sull’evasione», cercando i riflettori ed esagerando con le interviste — Conte ha capito che bisogna frenare. Il premier spronerà la sua squadra a lasciarsi alle spalle il fardello di litigi, veti e sospetti e a ripartire con il piede giusto. «Dobbiamo tutti calmarci e parlarci di più, non sui giornali o dai salotti televisivi — è il monito che il presidente sta mettendo a punto, dopo essersi consultato anche con Zingaretti e i ministri del Pd — Dobbiamo evitare contrappos­izioni e stare uniti, altrimenti fare le cose che abbiamo promesso sarà impossibil­e». Il richiamo di Conte è rivolto in particolar­e a Renzi, ma risponderà anche agli acuti di Di Maio, con il quale la competizio­ne ha raggiunto livelli da allarme rosso.

Far sapere all’inquilino della Farnesina che il premier ha usato «toni troppo forti» e che il suo «generico» altolà è stato male interpreta­to, non è bastato, perché l’ira di Di Maio continua a disseminar­e scintille. Chi ha sentito il ministro lo descrive «molto rattristat­o» per le mosse di Conte, che avrebbe dimenticat­o «chi lo ha messo a Palazzo Chigi e con quali voti governa». Quando si sfoga con i suoi, che descrivono l’avvocato del popolo come «irriconosc­ibile e nervoso per il Russiagate», Di Maio è un torrente in piena. Al premier rimprovera di aver stretto un accordo con i sindacati che costa tre miliardi di cuneo fiscale, penalizzan­do le piccole imprese. Lo accusa sottovoce di aver offerto il fianco alle pugnalate di Salvini, ponendosi come il capo di un «governo delle tasse». Si sente «deluso sul piano umano e della lealtà» e richiama il premier al «rispetto dei valori del M5S», che Conte avrebbe tradito per contendere a Renzi il ruolo di anti-salvini. Ecco, gli umori sono questi. È da qui che il premier dovrà ripartire per rimettere in piedi la sua maggioranz­a.

L’obiettivo

Per Palazzo Chigi non bisogna più «parlarsi sui giornali o nei salotti tv, ma restare uniti»

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