Corriere della Sera

L’accusa dell’amica: «La nostra Hevrin uccisa da jihadisti al soldo di Ankara»

La deputata curda Omar ricorda l’attivista

- Dall’inviato a Qamishli (Siria) Lorenzo Cremonesi

«Europei aiutateci! I sicari jihadisti al servizio della Turchia che hanno barbaramen­te linciato la mia amica e compagna di lotta Hevrin Khalaf non sono estremisti isolati. Fosse così noi curdi potremmo fermarli. Ma purtroppo sono parte di un piano molto più vasto e complesso ordito dal presidente turco Erdogan per ricostruir­e l’antico Impero Ottomano nella nostra regione. È in atto una vasta operazione di pulizia etnica al danno di noi curdi. Erdogan ci caccia dalle nostre terre per impiantarv­i popolazion­i sunnite che storicamen­te ci odiano e non esiteranno a massacrare quelli di noi che restano indietro nelle loro case».

È un grido di dolore che chiede di essere ascoltato quello che lancia Amina Omar parlando al Corriere. Co-presidente del Consiglio democratic­o siriano, che è il parlamento della regione autonoma curda del Rojava (la massima autorità civile), 48 anni, madre di 4 figli, laureata in legge ad Aleppo, ma dal 2011 coinvolta anima e corpo nella politica locale: l’abbiamo incontrata ieri mattina mentre teneva una conferenza per denunciare quelli che definisce senza mezze parole i «crimini di guerra» compiuti dall’esercito turco assieme alle milizie sunnite siriane sue alleate. In mano teneva un manifesto con la fotografia di Hevrin, la 35enne politica e attivista per i diritti civili curda trucidata il 13 ottobre sulla strada a un centinaio di chilometri da Qamishli.

Chi l’ha uccisa, lo sappiamo con certezza?

«Sono stati gli estremisti jihadisti del Ahrar al Sharqiya, un movimento ben noto per le sue violenze terribili. Lo abbiamo già visto in azione contro noi curdi, specie l’anno scorso durante l’offensiva ordita da Ankara contro l’enclave curda di Afrin».

Adesso che gli ultimi

Sul sito del «Corriere» i video e gli aggiorname­nti del nostro inviato in Siria Lorenzo Cremonesi

combattent­i curdi si sono ritirati anche dall’enclave di Ras Al Ayn crede che sarà possibile trovare un accordo con la Turchia per trasformar­e il cessate il fuoco in pace stabile?

«Non lo credo affatto, per il semplice motivo che in realtà Erdogan vuole eliminarci del tutto. Già l’anno scorso avevamo accettato di ritirarci a 5 chilometri dal confine con la Turchia per organizzar­e pattuglie in comune grazie alla mediazione americana. Noi avevamo cooperato di buon grado in nome della pace. Ma Erdogan non cerca la pace, vuole prendersi tutto».

Dopo l’abbandono americano vi siete affidati al regime siriano grazie alle mediazione russa. Ma potete davvero fidarvi di Bashar Assad, contrario a qualsiasi forma di autonomia curda?

«Ci siamo mossi sul principio per cui noi curdi siamo parte integrante della nazione siriana. La Turchia invade il suolo nazionale, dunque è compito di Damasco difenderci. Già l’anno scorso per due volte abbiamo tenuto colloqui con i dirigenti di Damasco. Ed in entrambe ci siamo scontrati su due concezioni diverse. Noi chiediamo forme di auto-amministra­zione regionale sulla base di un’idea federale dello Stato. Abbiamo detto chiaro che non vogliamo tornare alla situazione precedente al 2011. Oltre 11.000 combattent­i curdi sono morti negli ultimi otto anni per difendere le nostre libertà. Da Damasco però concedono al massimo una limitata autonomia municipale». Il ricordo Amina Omar ricorda l’amica e attivista Hevrin Khalaf, 35 anni, uccisa settimana scorsa in un agguato degli estremisti

I curdi sono disposti a diventare parte dell’esercito nazionale siriano?

«Sì, sono pronti. Anche se per ora i soldati siriani non stanno combattend­o, si dispiegano in settori del fronte che sono calmi. Aspettano. I loro partner russi vogliono evitare la guerra diretta tra Damasco e Ankara».

Ormai la Russia ha completame­nte rimpiazzat­o gli Stati Uniti in termini di influenza politica e capacità di mediazione nella regione?

«Direi di sì. Putin ormai

I sicari

Il gruppo estremista si chiama Ahrar al Sharqiya, lo abbiamo già visto in azione ad Afrin

detta legge. Anche se i nostri responsabi­li militari continuano a sperare che le forze armate americane restino nella regione. Sono una garanzia per noi».

Domani sera scadranno i cinque giorni di tregua mediata dagli americani con Erdogan. I curdi si stanno ritirando dai 125 chilometri di confine tra Ras Al Ayn e Tel Abyad. Ma Erdogan esige il ritiro totale da oltre 400 chilometri. C’è la possibilit­à che la guerra riprenda?

«Noi ci stiamo ritirando come si era pattuito e anche come era stato inteso ad Ankara dalla delegazion­e americana. I ritardi del nostro ritiro da Ras Al Ayn sono stati causati dai turchi che con i loro alleati avevano circondato i nostri soldati e non li lasciavano partire. Ma se ora Erdogan pretende il ritiro totale anche da Kobane, Qamishli, Derek o simili ovvio che resisterem­o. In quel caso sarà ancora guerra e sarà ancora una volta provocata dai turchi».

 ??  ??
 ??  ?? Corriere.it
Corriere.it

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy