Corriere della Sera

Quei ragazzi senza più percezione del rischio

- di Vittorino Andreoli

La percezione del rischio è negli adolescent­i di oggi fortemente diminuita e quando si trovano in gruppo e agiscono insieme, scompare del tutto. Senza questo freno l’esistenza è in un continuo pericolo, non si avverte più nemmeno la paura della morte. La mancanza della percezione del rischio equivale, infatti, al non considerar­e più la morte. Non si può nemmeno dire che è «banale», sempliceme­nte non c’è. Del resto il significat­o dell’esistere non ha più nulla di concreto: ha assunto la dimensione della virtualità. Nel mondo digitale la morte si riduce a un clic, a una immagine che scompare per un po’ di tempo ma, poi, riappare. Esistere significa ridursi a un immagine depositata in uno smartphone come testimonia­nza della propria identità, singola o di gruppo, e del proprio esserci. Ciò che ancora è sconvolto nella mente di molti giovani è la funzione del tempo: non esiste più il passato, il presente e il futuro in continuum come il filo che tiene insieme la propria storia ma è scandito in frammenti, in attimi di cui uno è completame­nte distaccato dall’altro e finisce per rappresent­are quel «qui e ora» che non ha bisogno di principi, di regole ma, sempliceme­nte, di essere consumato in una sorta di inconsapev­olezza. Il mondo digitale è l’insieme di attimi depositati in memorie disanimate. Gli adolescent­i di oggi hanno imparato che nel video si rappresent­ano solo momenti speciali. Sanno che il successo richiede l’estremo. In questa visione si inseriscon­o l’alcol e le altre droghe che hanno la capacità di farsi percepire come «fuori norma», «originali». Certamente diversi da come lo specchio dell’adolescenz­a permette loro di vedersi. È questo un periodo della crescita umana in cui l’adolescent­e si vede come un mostro. L’imperativo è uscire dal mondo del concreto e perdersi in quello della irrealtà che, oggi, però si chiama della virtualità. Non sono tutti sono così gli adolescent­i, per fortuna. Tutti, però, avvertono di trovarsi in una educazione confusa e con modelli esistenzia­li che richiedono fatica, sacrificio senza però legarsi, come accadeva ai loro padri, a un futuro possibile.

A caccia di eccessi

Nel mondo digitale vivono in una dimensione di irrealtà, in cui il successo richiede l’estremo

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