Corriere della Sera

«Curo i bimbi tra le bombe ma non sono un supereroe»

Scaini e i Medici Senza Frontiere

- Dal nostro inviato Riccardo Bruno

“perché lo fai?” io rispondo: e perché non lo dovrei fare?».

Un po’ di coraggio sicurament­e ci vuole. Lo Yemen, per esempio, è diventato un posto complicato, le fazioni in lotta mutano continuame­nte, neppure gli ospedali vengono risparmiat­i dai bombardame­nti. Nel Paese più povero del Medio Oriente, Medici senza frontiere è presente con l’intervento più importante in una zona di conflitto: ci sono équipe in 12 ospedali e 11 governator­ati, da marzo 2015 a dicembre 2018 hanno eseguito 81.102 interventi chirurgici, curato quasi 120 mila feriti, fatto nascere 68.702 bambini, affrontato 116.687 casi di colera. In Africa Roberto Scaini, 46 anni, medico di base a Misano, dal 2011 lavora con Msf Scaini è stato il coordinato­re medico, aprendo anche nuove strutture. Ha lavorato anche in Siria, Etiopia, Iraq, Sud Sudan, e in Liberia e Sierra Leone nel 2014 quando scoppiò l’emergenza Ebola. «Noi di Msf eravamo già lì a chiedere l’intervento degli organismi internazio­nali. Era davvero una scena apocalitti­ca, i primi giorni ci siamo limitati a spostare i cadaveri. Adesso se c’è un nuovo allarme, ma per fortuna anche molta più consapevol­ezza e attenzione».

Avrebbe mille storie da raccontare. «Come il ragazzino che mi raccontò che fuggendo dal Sud Sudan i suoi compagni che morivano venivano buttati uno alla volta giù dal camion. Una storia terribile ma quello che più colpì ero come lo diceva, come se fosse normale». Ci sono momenti

Lo stetoscopi­o

«In Africa ne ho uno rosso perché attrae i bimbi, se lo afferrano so che sono guariti»

in cui puoi essere preso dallo sconforto. «Una volta la mia responsabi­le nello Yemen mi disse: non pensare a chi non ce la fa, ma a tutti quelli che riusciamo a salvare. Finché puoi dare il tuo contributo, allora vuol dire che ne è valsa la pena».

Quando torna in Italia, con la stessa energia si dedica ai suoi pazienti della mutua. «È vero, sono due mondi agli antipodi, ma rappresent­ano due facce della stessa medaglia. In fondo sia qui che lì mi occupo di malnutrizi­one: in Africa il problema è la carenza di cibo, qui l’eccesso, mi tocca curare le patologie del benessere». Anche gli strumenti sono gli stessi. Dello stetoscopi­o per esempio cambia solo il colore. «A Misano è nero, in Africa ne ho uno rosso. Perché attrae i bambini, se lo afferrano hanno voglia di giocare, e vuol dire che sono guariti».

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