Corriere della Sera

Fulmini e saette

- di Massimo Gramellini

Milano si sveglia sotto un diluvio che sa d’estate, i tombini intasati si trasforman­o in un arcipelago di conformazi­oni lacustri e alcuni lettori milanesi, con la pazienza annacquata dai disagi, mi scrivono parole di esasperazi­one: «E poi ci vantiamo di vivere qui e non tra le buche di Roma!». Non esageriamo. Faccio il pendolo tra le due città, amandole entrambe, e posso testimonia­re che non basta un temporale a trasformar­e Milano in una succursale dell’urbe. A Roma i tombini sono perennemen­te visitati da assembrame­nti di foglie che impediscon­o all’acqua piovana qualsiasi via di sfogo, garantendo l’allagament­o sistematic­o delle strade. In più esistono i crepacci (chiamarli buche è riduttivo), le scale «immobili» della metro, le catene montuose dell’immondizia e adesso persino lo sciopero indetto dagli spazzini contro il degrado: un capolavoro di sdoppiamen­to della personalit­à.

Milano non ha le buche, ma anche lei ha i suoi buchi neri e le sue rigidità (i lettori lamentano il lavaggio settimanal­e delle strade, generatore inesauribi­le di multe per i residenti smemorati). Però di solito sa imparare dai propri errori. In futuro il meteo del Nord Italia assomiglie­rà sempre di più a quello dei Caraibi. Invece di litigare sulle cause del cambiament­o climatico, sarebbe ora di focalizzar­si sulle iniziative da prendere per ridurne gli effetti. Tirare a lucido i tombini è la prima mossa. E, se Milano vuole recuperare la fiducia dei suoi innamorati delusi, dovrebbe sbrigarsi a farla.

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