Fulmini e saette
Milano si sveglia sotto un diluvio che sa d’estate, i tombini intasati si trasformano in un arcipelago di conformazioni lacustri e alcuni lettori milanesi, con la pazienza annacquata dai disagi, mi scrivono parole di esasperazione: «E poi ci vantiamo di vivere qui e non tra le buche di Roma!». Non esageriamo. Faccio il pendolo tra le due città, amandole entrambe, e posso testimoniare che non basta un temporale a trasformare Milano in una succursale dell’urbe. A Roma i tombini sono perennemente visitati da assembramenti di foglie che impediscono all’acqua piovana qualsiasi via di sfogo, garantendo l’allagamento sistematico delle strade. In più esistono i crepacci (chiamarli buche è riduttivo), le scale «immobili» della metro, le catene montuose dell’immondizia e adesso persino lo sciopero indetto dagli spazzini contro il degrado: un capolavoro di sdoppiamento della personalità.
Milano non ha le buche, ma anche lei ha i suoi buchi neri e le sue rigidità (i lettori lamentano il lavaggio settimanale delle strade, generatore inesauribile di multe per i residenti smemorati). Però di solito sa imparare dai propri errori. In futuro il meteo del Nord Italia assomiglierà sempre di più a quello dei Caraibi. Invece di litigare sulle cause del cambiamento climatico, sarebbe ora di focalizzarsi sulle iniziative da prendere per ridurne gli effetti. Tirare a lucido i tombini è la prima mossa. E, se Milano vuole recuperare la fiducia dei suoi innamorati delusi, dovrebbe sbrigarsi a farla.