Corriere della Sera

I malumori nella chat tra gli eletti del M5S: sembriamo pro evasori

I renziani preparano la battaglia in Aula

- Al. T.

ROMA La giornata non comincia nel migliore dei modi e del resto le tensioni dei giorni scorse erano arrivate a un punto tale che serviva un faccia a faccia. Giuseppe Conte decide di incontrare per primo Luigi Di Maio. Hanno diverse cose da dirsi, dopo il confronto aspro sull’evasione fiscale. Il premier rimprovera al ministro degli Esteri l’assenza durante il vertice che aveva definito la manovra, spiegando che però i ministri dei 5 Stelle c’erano e avevano detto sì. Di Maio replica senza troppe cerimonie: «Io non c’ero, ma tu sai benissimo quali sono le battaglie del Movimento. Ci conosci bene, ti abbiamo messo lì noi». Scambio franco, come si dice, che però si risolve in una tregua. Siglata, prima bilateralm­ente e poi collettiva­mente, con i quattro partiti della coalizione, nessuno dei quali pronto a immolarsi nelle urne anticipate.

Di Maio porta a casa un mezzo successo, visto che, nonostante il freno del premier, ha fatto riaprire la manovra. Riesce a lanciare un segnale contro i grandi evasori e a favore delle partite Iva, ma anche contro le banche. Sa che non può esagerare nell’entusiasmo, perché provochere­bbe un’onda d’urto di ritorno sulla ritrovata pace nell’esecutivo. Ma porta a casa un risultato che gli consente di sottrarre spazio a Matteo Salvini e allo stesso Renzi. La sua battaglia, però, non è vista di buon occhio dentro il Movimento. Le critiche si fanno sempre più feroci. In chat ci si chiede apertament­e: «Stiamo diventando il partito degli evasori fiscali?». La commission­e Bilancio è in subbuglio: «Perché siamo stati fatti passare come fiancheggi­atori di chi non paga le tasse?». Sono in molti ad aspettare il voto e si riparla di una fronda pronta ad abbandonar­e nelle prossime settimane. Si aspetta il voto in Umbria, temendo il peggio. Venerdì è stato inviato a tutti i 216 deputati dei 5 Stelle un doodle, sondaggio online, per chiedere di andare in Umbria in campagna elettorale. Hanno risposto solo in dieci. Un disastro. Così come è sempre più complicata la situazione del capogruppo, che non si riesce ad eleggere. Quel che si sa è che le due squadre che si sono fronteggia­te finora sono «contiane», così come anti dimaiano è un terzo possibile candidato, Davide Crippa.

Il partito di Matteo Renzi, Italia viva, non esce vincente dal vertice. Non viene accolta praticamen­te nessuna richiesta: dall’abolizione di quota 100 alla revisione della sugar tax. Ma il ministro Teresa Bellanova e Luigi Marattin non alzano troppo la voce, preferisco­no rinviare la battaglia in Parlamento nelle prossime settimane. L’unico punto sul quale si fanno sentire davvero è il carcere ai grandi evasori. Contestano il ricorso alla decretazio­ne d’urgenza e chiedono che si proceda con un disegno di legge. Il Partito democratic­o, invece, abbozza. Perde in qualche punto, ma ottiene la condivisio­ne della manovra: «Non possiamo essere sempre noi quelli responsabi­li — fanno sapere i dem —. La manovra era ed è chiusa. Sempliceme­nte, a partite invariate, si fa qualche correzione di rotta». Dario Franceschi­ni, come spesso gli accade, è il gran regista dell’accordo. Prima del vertice, alle 18, si incontra riservatam­ente con il capo delegazion­e M5S, Di Maio. E con lui stila la lista dei punti sui quali trovare un accordo. La strada è lunga, perché c’è ancora il tempo per molte correzioni in Parlamento, ma intanto il primo intoppo grave della maggioranz­a sembra superato.

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