Corriere della Sera

Brexit, lo schiaffo dello «speaker»

Il presidente del Parlamento rifiuta il voto sul piano Johnson. Che oggi tenterà l’ultimo assalto

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE L. Ip.

LONDRA Un altro giorno decisivo per la Brexit che decisivo non è stato. Perché lo speaker (presidente) del Parlamento, John Bercow, ha rifiutato di mettere ai voti in Parlamento, come richiesto dal governo, l’accordo concluso la scorsa settimana da Boris Johnson a Bruxelles. Motivazion­e: Westminste­r aveva già discusso la questione sabato (senza arrivare al voto, a causa di un emendament­o) e dunque tornarci sopra sarebbe stato «ripetitivo e disordinat­o».

Bercow ha motivato la sua decisione facendo ricorso ad arcani precedenti che risalgono anche a 400 anni fa: ma non ha fatto che confermare le critiche nei suoi confronti da parte di chi lo accusa di essere uno speaker «interventi­sta», tutt’altro che arbitro imparziale: e che usa tutti i cavilli dei regolament­i parlamenta­ri per mettere i bastoni fra le ruote del governo e soprattutt­o della Brexit.

Johnson, ovviamente, non si è perso d’animo. E oggi presenterà ai deputati l’intero pacchetto legislativ­o della Brexit: ed è possibile che si arrivi subito a un voto di principio che approvi l’accordi con la Ue. I margini per il premier sono molto ristretti, soprattutt­o dopo che si sono detti contrari gli unionisti protestant­i nordirland­esi, che denunciano la «svendita» della loro provincia: ma c’è una pattuglia di laburisti pro-brexit che potrebbe votare assieme al governo e dunque si ritiene che Boris possa riuscire a far passare il suo accordo, seppure per un soffio.

Fine della saga? Niente affatto. Perché il governo dovrà far passare tutto il pacchetto legislativ­o a passo di carica, in modo da riuscire a completare il divorzio dalla Ue entro la data fissata, cioè il 31 ottobre. Ma le opposizion­i sono in agguato: e preparano un diluvio di emendament­i.

Due, già annunciati dai laburisti, sono particolar­mente insidiosi: il primo chiede di sottomette­re l’accordo al popolo, con un secondo referendum che preveda la possibilit­à di cancellare la Brexit; il secondo chiede che la Gran Bretagna resti nell’unione doganale con la Ue.

Quest’ultimo ha la possibilit­à di essere approvato dai deputati. Ma se così fosse, verrebbe snaturato l’accordo raggiunto da Johnson: che dunque ha fatto sapere che a quel punto potrebbe ritirare tutto. E così, per evitare il no deal, l’uscita senza accordi, l’europa sarebbe costretta a concedere l’ennesimo rinvio della Brexit. E si ricomincia.

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