Corriere della Sera

Lady Fit, la palestra delle giovani curde: «Ora chiuderemo»

Le donne: verranno i jihadisti e ci cacceranno

- Dal nostro inviato a Qamishli Lorenzo Cremonesi

Il 19 dicembre 2018 Donald Trump (foto) annuncia nel giro di 30 giorni il ritiro di circa 1

2 mila soldati statuniten­si impiegati nel Nord-est e nel Sud-est della Siria data la sconfitta dello Stato Islamico. La decisione causa delle dimissioni del segretario della Difesa, Jim Mattis.

Il Pentagono ridimensio­na

In gennaio su pressione del Pentagono il consiglier­e di Trump per la Sicurezza nazionale, 2

John Bolton, stabilisce alcune condizioni per il ritiro: i militari rimarranno fino a che Isis non sarà sconfitto e se la Turchia non darà sufficient­i garanzie che non attaccherà i curdi. Donald ci riprova, via i soldati

Il 7 ottobre durante una telefonata Trump dà luce verde al presidente turco Erdogan e annuncia il 3 ritiro delle truppe americane. Il 9 Ankara dà il via all’operazione «Pace di primavera» e inizia a colpire i curdi. La Casa Bianca nega di aver dato il permesso di procedere con l’assalto Dopo le critiche, sanzioni a Erdogan Subissato di critiche per aver abbandonat­o il principale alleato nella lotta all’isis, le Sdf curdosiria­ne, 4 Trump annuncia sanzioni contro la Turchia. Contestual­mente inizia il ritiro dei militari, che sposta però nel nord dell’iraq per sorvegliar­e i pozzi petrolifer­i. «M eno di sei mesi. È durato meno di sei mesi il nostro progetto della prima palestra femminile di Rojava. Andava benissimo! Ma la minaccia dell’invasione turca assieme alle milizie sunnite siriane in odor di jihad mette tutto in pericolo. Rischiamo di dover chiudere». Potrebbe sembrare un dettaglio, un’inezia. Davanti alla tragedia dei curdi abbandonat­i dagli americani, e in realtà dall’intero mondo occidental­e che li aveva eletti a teste di ponte nella battaglia contro Isis, che senso ha concentrar­si sulle lamentele della 26enne Dana Farman e le traversie del suo club per sole donne «Lady Fit» in piena crisi? Da lei ci ha condotti una giovane giornalist­a locale ieri mattina, proprio il giorno prima dello scadere stasera dei cinque giorni di tregua tra curdi e turchi mediati dagli americani e mentre i russi si posizionan­o con i soldati di Assad lungo il confine con l’iraq.

«La nostra guerra contro Isis e in generale in opposizion­e all’estremismo islamico è stata anche culturale, sociale. Le donne che fanno ginnastica e si ritrovano libere tra di loro sono la nostra risposta alle schiave del sesso imposte dal Califfato, alla concezione della donna totalmente asservita all’uomo, ai figli, alla tradizione», spiega Dana. Il club era stato aperto il primo maggio scorso nel cuore di Qamishli. Un edificio basso, con le insegne nere e rosa. Gli inizi sono stati un poco stentati. Nonostante infatti Rojava abbia adottato in blocco i principi del leader dell’indipenden­tismo socialista curdo, Abdullah Ocalan, che predica tra l’altro la completa eguaglianz­a fra uomini e donne, la società locale resta estremamen­te conservatr­ice. Ragazzi e ragazze che accettano di fare il servizio di leva convivono in regime paritario. Anzi, spesso nelle posizioni di comando sia civili che militari non è difficile trovare più donne che uomini. Ma non appena lasciano l’uniforme, si sposano e creano famiglia, le cose cambiano radicalmen­te, con le donne relegate in casa a curare i figli. Così il club era diventato anche un modo per lottare contro famiglie chiuse e tradizioni antiche dure a morire. Già a fine maggio le iscritte erano una ventina, diventate in agosto quasi un centinaio. Attira l’ambiente pulito, le grandi specchiere a muro, gli attrezzi e le macchine da ginnastica importati dall’estero, nuovi e ben tenuti. Non sono mancate le difficoltà, specie per le ragazze osteggiate dai genitori. Ultimament­e le autorità locali erano intervenut­e tra l’altro a bloccare i corsi di danza del ventre. Anche se esclusivam­ente dedicati alle socie del club, erano stati considerat­i troppo «provocator­i», insomma «immorali», specie in questo periodo di tensioni.

Il precipitar­e della guerra con l’attacco turco ha però azzerato l’attività del club. Tutti restano a casa, chi può va nei villaggi, ci si prepara al peggio. Poco lontano dal «Lady Fit» si stanno scavando trincee e tunnel sotterrane­i in cemento armato in vista dell’eventualit­à di una prolungata guerriglia urbana. La rabbia contro gli americani è tanta. Ieri mattina gruppi di abitanti di Qamishli hanno gettato patate marce contro i mezzi dell’esercito statuniten­se in ridispiega­mento verso l’iraq. «Americani traditori, mentitori, ci lasciate soli nel pericolo», gridavano. Gli ospedali della città hanno ricoverato nella ultime ore una trentina di soldati feriti nelle battaglie di Ras Al Ayn ed evacuati dopo giorni di sofferenze.

Nel salone del club abbiamo incontrato solo una socia: Nurjan Hussein, 25 anni. «Non ne posso più fare a meno. La ginnastica mi calma. Ma temo che presto non potrò più venire. I jihadisti siriani alleati dei turchi ce lo impedirann­o. Per loro è inconcepib­ile che una donna possa fare ginnastica, lo consideran­o “haram”, un peccato contro Dio», dice rassegnata. Per Dana è anche peggio, rischia di perdere il lavoro. «Avevamo aperto un club simile nell’enclave di Afrin. Ma da quando nel febbraio 2018 è stata invasa dai turchi abbiamo dovuto chiuderlo». Una cugina la vorrebbe invitare a riprovare a Hasakah, più a sud dei 30 chilometri della «zona cuscinetto» voluta da Erdogan lungo il confine turco-siriano. Ma lei starebbe pensando di riprovare a Istanbul. E non importa se è la città del nemico, laggiù almeno i club per le donne non sono vietati dai fanatici.

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Il club Dana Farman, 26 anni

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