Roma, il processo inizierà il 4 dicembre
Un anno dopo erano tutte idealmente attorno a lei. La mamma Barbara, la zia Rita, la nonna materna Patrizia, tutte le donne della famiglia Mariottini compatte di fronte al giudice per mostrare con i fatti che mai avevano lasciata da sola Desirée e che oggi, nel giorno del rinvio a giudizio dei suoi presunti assassini, sono determinate a ribadirlo in risposta a chi, un avvocato difensore, ha provato a scaricare su di loro la colpa (per abbandono) della morte della 16enne di Cisterna di Latina.
A partire dal 4 dicembre saranno processati in corte d’assise Yusif Salia, Mamadou Gara, Brian Minteh e Chima Alinno. Sono tutti accusati in concorso di omicidio volontario e violenza sessuale di gruppo, nonché della cessione di sostanze narcotiche e psicotiche, tutti reati aggravati dall’età della ragazza e dalla condizione di impossibilità di difendersi in cui era stata ridotta, dai futili e abietti motivi. Riconosciuta dunque l’impostazione dei pm Stefano Pizza e Maria Monteleone, secondo cui i due senegalesi (Gara e Minteh), il nigeriano (Alinno) e il ghanese (Salia) erano ben consci, data anche ● Il gup di Roma Clementina Forleo ha rinviato a giudizio 4 persone accusate di omicidio, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori la loro «competenza» in materia, delle conseguenze potenzialmente letali per la ragazza quando la indussero ad assumere, anche contro la sua volontà, il complesso di droghe e farmaci per ridurla a uno stato di incoscienza e poi abusarne a turno come «mero oggetto di soddisfazione sessuale» (parole del gip che firmò gli arresti). Gli stessi quattro impedirono di chiamare i soccorsi in modo tempestivo: «Meglio lei morta che noi in galera», è la frase attribuita dai testimoni a Salia.
L’accusa di omicidio era stata respinta dal Riesame per due degli imputati. Decisiva nelle indagini della squadra mobile la prova del Dna e la meticolosa ricostruzione delle presenze sul luogo del delitto attraverso decine di testimonianze non semplici da raccogliere. A fine udienza la signora Barbara esce quasi pietrificata dalla tensione e dalla commozione. Non ha la forza di parlare e affida un commento al suo avvocato, Maria Belli: «Confido nel lavoro dei magistrati, nella verità, nella giustizia. Sapere tutto quello che mia figlia ha subìto e della lunga agonia senza che nessuno la soccorresse lasciandola morire e pensare Il gesto
Fiori e ceri nel complesso abbandonato a Roma dove è stato trovato il corpo di Desirée Mariottini che poteva essere salvata, mi distrugge. Vedo gli imputati dietro le sbarre loro sono vivi Desirée no». Di fianco a lei c’è la nonna di Desirée, Patrizia, che al funerale della ragazza non riusciva a darsi pace per quell’ultima vana telefonata alla nipote prima che lei sparisse in cerca di droga nel rudere di via dei Lucani: «Il nostro dolore non si potrà mai calmare. Nessuna sentenza ci restituirà mai la nostra Desirée», dice ora la donna.
La morte della 16enne avvenne nella notte tra il 18 e il 19 ottobre 2018 nella movida del centrale quartiere San Lorenzo. «Un episodio di eccezionale gravità, in un contesto di degrado umano e sociale inaccettabile ed indegno di un Paese civile», lo definì il gip. A Gara è attribuita pure la cessione di droga e il favoreggiamento della prostituzione minorile per fatti precedenti alla morte della 16enne. Ci sono poi le figure di contorno, ma non secondarie: Marco Mancini (che riforniva il covo di psicofarmaci ottenuti con la ricetta medica di un familiare) ha chiesto di patteggiare la pena. Così come Alexander Asumado, a cui è contestata la cessione di droga ad altre persone nello stabile. Ad Antonella Fauntleroy (che accompagnava Desirée dai pusher) la Procura contesta lo spaccio e ne ha chiesto il rinvio a giudizio.
La mamma
«Sapere quello che ha subìto e pensare che poteva essere salvata mi distrugge»