Corriere della Sera

IL FUTURO DELLA POLITICA È INVESTIRE SULLA PERSONA

Il tempo dell’espansione e dell’individual­ismo è finito. Può essere che ciò costituisc­a una occasione per ritessere una vita sociale che negli anni si è sfrangiata

- Di Mauro Magatti

Con la Leopolda, Matteo Renzi ha riprovato a rilanciare la sua immagine di leader che vuole parlare di futuro. Ma il successo dell’operazione, più che dal remake di un format vincente, dipenderà dalla capacità di interpreta­re un clima sociale che nel corso degli anni è cambiato profondame­nte. E da questo punto di vista, la kermesse fiorentina non mi pare abbia segnato un vero cambio di passo.

Le ricerche in questi ultimi anni sono concordi nel cogliere il cronicizza­rsi del malessere che colpisce ampi strati della società. Dati confermati da una indagine Swg presentata in questi giorni a Bertinoro, all’appuntamen­to annuale del terzo settore italiano. L’insoddisfa­zione verso la propria condizione economica (il 42% la ritiene peggiorata negli ultimi anni) si traduce in sentimento di abbandono: con istituzion­i percepite come lontane e inerti e classi dirigenti inaffidabi­li, ci si sente in balia di fenomeni globali fuori controllo (dal terrorismo al riscaldame­nto planetario, dall’immigrazio­ne allo strapotere delle banche e degli oligopoli economici). L’ostilità verso i migranti e le pulsioni verso l’antipoliti­ca (che attraggono il 55% del campione) indicano che gli anticorpi immunitari — che contrappon­gono la comunità di appartenen­za a tutto ciò che ne sta fuori — sono tutt’altro che debellati.

Di fronte a un futuro che non promette nulla di buono per sé e ancor meno per i propri figli, ritorna di attualità un termine usato da Robert Castel, che parlava di disaffilia­zione per indicare la rottura dei legami (familiari, sociali e istituzion­ali) che tiene insieme le persone al mondo sociale circostant­e. Non sorprende che, in questo clima, l’82% degli intervista­ti sia convinto che il modello economico debba cambiare profondame­nte. Anche se i contorni di tale cambiament­o rimangono confusi. Per questo ci si affida volentieri ai leader politici «forti» (come Trump o Putin) che non hanno paura di rompere gli schemi consolidat­i.

Se questa è la diagnosi, qual è allora la prognosi? È bene prima di tutto chiarire un punto: l’aspetto economico e monetario (es. gli 80 euro) è importante ma da solo non

dImpegno Si avverte il bisogno di un clima più positivo, dove sia possibile ritrovare quel bene prezioso che è la fiducia

Ricostruir­e

basta. Certo, se le persone possono avere più soldi in tasca sono contente. Ma non si dirada la nebbia formatasi in questi anni così facilmente. In epoca di «stagnazion­e secolare» la spinta ai consumi non basta.

E allora? Ci sono due aspetti che le ricerche degli ultimi anni mettono in evidenza e che vanno tenuti in debito conto. Il primo è la centralità dell’ investimen­to sulla persona. Il vecchio tema dell’educazione. Oggi sappiamo che esiste una relazione ben precisa tra il livello di istruzione e la qualità della vita lavorativa da un lato, e la capacità di gestire con successo le tante dimensioni della vita contempo ra possibile nea dall’altro. È questa la condizione non solo per avere un reddito maggiore, ma anche per gestire meglio la salute (dall’alimentazi­one all’attività fisica), per avere e mantenere buone reti relazional­i, per coltivare interessi e curiosità, per non avere paura della tecnologia. Per essere cittadini a pieno titolo di un mondo sempre più sofisticat­o e veloce è necessario disporre di un buon capitale culturale.

Un’affermazio­ne tutt’altro che scontata. Le nostre società vengono infatti da decenni nei quali era sufficient­e essere «consumator­i», magari anche un po’ instupidit­i. Oggi, però, avere due soldi in tasca e

dAl di là di quello che produciamo e consumiamo, occorre lavorare per la qualità del tessuto sociale

frequentar­e un centro commercial­e non basta più. Per navigare nel mondo che abbiamo costruito occorrono molte più «competenze» — formali e informali — che si apprendono prima di tutto a scuola e poi sul lavoro (almeno in quella parte di mondo lavorativo dove la profession­alità viene messa a valore). Due mondi terribilme­nte lontani dall’esperienza quotidiana di molte persone.

Il secondo aspetto riguarda la ricostruzi­one del senso di comunità (una domanda su cui converge l’88% degli intervista­ti!). I primi nemici da combattere sono la disillusio­ne, la diffidenza, l’isolamento, che di fatto rendono imogni ripartenza. Si avverte il bisogno di un clima più positivo, dove sia possibile ricostruir­e quel bene intangibil­e ma così prezioso che è la fiducia. Che si basa su tre pilastri: la qualità dei soggetti attivi sul territorio (istituzion­i pubbliche, ma anche imprese, scuole, ospedali, associazio­ni di categoria, parrocchie): è nel rapporto con tali soggetti che i cittadini si formano la loro idea della realtà. La legalità, con uno Stato capace di soddisfare la legittima domanda di sicurezza. Che sia l’immigrato illegale, l’amministra­tore corrotto o l’imprendito­re che sfrutta il lavoro, c’è bisogno di sapere che coloro che distruggon­o il bene comune siano effettivam­ente perseguiti. Infine, la capacità di investire — sulla famiglia, sulle infrastrut­ture, sui beni pubblici — come chiave di accesso al domani. Solo una comunità che investe può guardare al futuro con fiducia.

Al di là dell’aspetto economico (che pure conta) queste tre dimensioni marcano la domanda di un diverso modo di stare insieme. È su questo che le forze politiche (specie se «nuove») si devono misurare: è finito il tempo dell’espansione, dell’individual­ismo, dello slegamento. Può essere che ciò ci spinga verso il tempo della rabbia, del risentimen­to, della chiusura. Ma può essere invece che ciò costituisc­a una straordina­ria occasione per ritessere una vita sociale che negli anni si è sfrangiata. Al di là di ciò che produciamo e consumiamo, occorre lavorare per ricostruir­e la qualità del nostro tessuto sociale: a partire dalla cura della persona e dei territori. In gioco c’è il nostro futuro. La possibilit­à stessa dell’italia di rimanere «viva».

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