Corriere della Sera

NESSUNA NOSTALGIA DELL’AVVIAMENTO MA DELL’ASCENSORE SOCIALE SÌ

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Caro Aldo, faccio riferiment­o alla sua risposta di domenica scorsa in cui nota che «prima, non c’erano scuole medie nei quartieri operai: i figli dei poveri andavano all’avviamento...»).

La sua nota mi induce a considerar­e che se, forse, ci fossero state più scuole di avviamento e meno scuole medie ora non ci sarebbero tanti giovani costretti a cercare lavoro all’estero e noi non avremmo bisogno di importare dall’estero tecnici e operai specializz­ati. Domenico Agostini Salerno

NCaro Domenico, on c’è dubbio che la mancanza di lavoro per i giovani sia la prima questione italiana. Ma non credo che sarebbe risolta mandando i dodicenni a imparare a usare la lima o il torchio.

Ringrazio i molti lettori — in particolar­e la signora Graziana Canova Tura — che hanno scritto al Corriere per raccontare i ricordi della loro scuola media. (Quando ero ragazzo io, la scuola media unica era stata unificata da tempo, ma esisteva ancora una materia chiamata «attività manuali e pratiche»: i maschi costruivan­o circuiti elettrici, le femmine cucinavano; poi fu trasformat­a in «applicazio­ni tecniche»). Il riferiment­o ai quartieri popolari l’ho tratto da un’antica conversazi­one con Aris Accornero, ex operaio alla Riv — la fabbrica di cuscinetti proprietà personale di Gianni Agnelli: gliel’aveva regalata il nonno per il primo compleanno —, poi sociologo. «Avevo fatto le medie, anche se dovevo attraversa­re tutta la città per arrivare a scuola, in centro; non c’erano scuole medie al Lingotto, dove abitavo, e negli altri quartieri operai di Torino; c’era solo l’avviamento». Questo il ricordo di Accornero. Il destino per quasi tutti i ragazzi era segnato, in base alla nascita e al ceto sociale. Abbiamo nostalgia di un Paese così?

Certo, era un’italia che andava dal meno al più. In cui le occasioni non mancavano, anche a chi non aveva potuto studiare. L’ascensore sociale funzionava, più di adesso. Nell’italia del boom furono fondamenta­le gli istituti tecnici. Ora servirebbe­ro più laureati in ingegneria. Non tutti i ragazzi italiani che vanno all’estero, però, sono medici o ricercator­i. Molti vanno a fare lavori manuali, che a Londra o a Monaco sono meglio pagati, e meno tassati. E non tutti gli immigrati sono operai specializz­ati. Molti sono facile preda dell’economia illegale o criminale.

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