Corriere della Sera

«Mafia Capitale non fu mafia» Accusa smontata

- Fiano, Sacchetton­i

«Non fu associazio­ne mafiosa»: la Cassazione annulla le condanne per Mafia Capitale. Per Massimo Carminati e Salvatore Buzzi le pene vanno ridetermin­ate. La Corte sembra aver accolto l’impostazio­ne dei giudici di primo grado per i quali esistevano due distinte associazio­ni. Una facente capo a Carminati, dedita alle estorsioni e all’intimidazi­one, e l’altra a Buzzi, impegnata a corrompere e manipolare le gare d’appalto.

Respinta definitiva­mente l’accusa di mafia. La Corte di Cassazione ha stabilito che il Mondo di Mezzo si componeva di due associazio­ni, una facente capo a Massimo Carminati, dedita alle estorsioni e all’intimidazi­one e l’altra che aveva come riferiment­o il re delle coop Salvatore Buzzi, impegnata a corrompere e manipolare le gare d’appalto.

Esultano le difese unite nel combattere il temuto 416 bis, riconosciu­to nel secondo grado d’appello (nel primo era saltato) e ora sconfessat­o. Quanto alle pene di molti dei 32 imputati si dovrà attendere che vengano ridetermin­ate in appello. Ad esclusione di alcuni per i quali la condanna è già definitiva, come, per fare un esempio, l’ex presidente del consiglio comunale il dem

Mirko Coratti (quattro anni e sei mesi), l’ex consiglier­e pidiellino Giordano Tredicine (due anni e sei mesi) e l’ex presidente di Ostia, il dem Andrea Tassone (cinque anni).

La Cassazione sembra aver accolto l’impostazio­ne data dai giudici del I grado per i quali, appunto, non esisteva una singola associazio­ne mafiosa. La tesi della Procura, guidata all’epoca da Giuseppe Pignatone, era opposta e affermava l’esistenza di una mafia limitata, ma operativa, in grado di imporre le proprie decisioni con una riserva di violenza derivata dal prestigio criminale del «Cecato» Carminati. Per le difese è un trionfo: «Questa sentenza è una lezione di diritto a molti dottori in legge che questi anni hanno pontificat­o in merito» dice Alessandro Diddi, difensore di Buzzi che ha sempre sostenuto la tesi di una corruzione ambientale alimentata da funzionari e politici corrotti. Ma esulta anche l’avvocato Valerio Spigarelli che si vede cadere l’aggravante mafiosa nei confronti di Luca Gramazio, l’ex consiglier­e comunale e regionale del centrodest­ra, tuttora ai domiciliar­i. E Gianluca Tognozzi il cui cliente, Giovanni De Carlo, si è visto accogliere il ricorso.

L’indagine aveva portato a una retata di 37 persone il 2 dicembre 2014, poi era proseguita con altri 44 arresti a giugno 2015. Quindi il fenomeno di Mafia Capitale aveva tenuto banco con l’ex sindaco Gianni Alemanno prosciolto dall’accusa di mafia, ma finito a processo per corruzione, un alto funzionari­o di Stato, Luca Odevaine, condannato a due anni e 8 mesi di carcere e decine di funzionari alla sbarra per aver alimentato un sistema corruttivo entrato nel cuore dell’amministra­zione capitolina. Fu una stagione politicame­nte delicatiss­ima. Una commission­e guidata dall’allora prefetto Franco Gabrielli analizzò gli atti del Campidogli­o e trasse le sue conclusion­i: il Comune pur con gravi problemi di trasparenz­a non era interament­e infiltrato dal malaffare e dunque non andava sciolto. In quella relazione tuttavia si trovava un forte atto d’accusa nei confronti di molti funzionari.

«Si tratta di una sentenza che conferma l’esistenza di un’associazio­ne criminale che contaminav­a la città, no alle autoassolu­zioni» puntualizz­a ora l’ex presidente ed ex commissari­o del Pd Matteo Orfini. Mentre dalla sindaca Virginia Raggi: «È stato scritto un capitolo buio per la nostra città». Commenta la sentenza anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Resta una ferita profonda per Roma». Ironico il leader leghista Matteo Salvini: «Cos’era allora, un’associazio­ne di volontaria­to?».

La distinzion­e

Due associazio­ni: una dedita a estorsioni e intimidazi­oni, l’altra a corruzione e appalti

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