Corriere della Sera

Permessi premio anche ai mafiosi all’ergastolo

La Corte: chi non collabora ne ha diritto lo stesso. Zingaretti: stravagant­e. Salvini: grida vendetta

- di Giovanni Bianconi e Dino Martirano

Incostituz­ionale non concedere permessi ai mafiosi anche se non collaboran­o. La Consulta fa cadere il divieto per i condannati che abbiano dato piena prova di adesione al percorso rieducativ­o e risultino oramai estranei all’attività criminale. La Corte costituzio­nale chiede che sia valutato caso per caso.

Un «uno due» micidiale si abbatte sull’antimafia. Dopo la sentenza della Cassazione, che cancella il metodo mafioso dal processo alla cosiddetta «Mafia Capitale», arriva la sentenza della Corte Costituzio­nale che allenta l’ergastolo ostativo: i giudici delle leggi cancellano così il divieto assoluto per gli ergastolan­i ostativi, che non collaboran­o con la giustizia, di accedere ai permessi premio durante la detenzione.

La Corte presieduta da Giorgio Lattanzi depositerà la sentenza nelle prossime settimane. Ma ha anticipato, attraverso il suo ufficio stampa, l’incostituz­ionalità dell’articolo 4 bis dell’ordinament­o penitenzia­rio: in particolar­e la parte in cui non prevede la concession­e di permessi premio in assenza di collaboraz­ione con la giustizia, «anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipaz­ione all’associazio­ne criminale sia (...) il pericolo di ripristino dei collegamen­ti con la criminalit­à organizzat­a». Il paletto lasciato dalla Consulta prevede che il «condannato abbia dato piena prova di partecipaz­ione al percorso rieducativ­o». Così, in virtù della sentenza, «la presunzion­e della “pericolosi­tà sociale” del detenuto non collaboran­te non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglian­za, la cui valutazion­e caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere nonché sui pareri della Procura antimafia antiterror­ismo e del Comitato provincial­e per l’ordine e la sicurezza pubblica».

La decisione della Corte, che arriva a ridosso dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo («Inumana e degradante la pena che non preveda una possibilit­à di rilascio»), ha fatto infuriare il leader della Lega Matteo Salvini che ha azzardato l’ipotesi di un ricorso: «È una sentenza che grida vendetta. Vediamo di capire con i nostri uffici se sia possibile fare un ricorso». E così Stefano Ceccanti (Pd) ha dovuto rammentare all’ex vicepremie­r l’articolo 137 della Costituzio­ne che non ammette «alcuna impugnazio­ne» contro le decisioni della Corte. Protestano Forza Italia e Fratelli d’italia. Nicola Morra (M5S), presidente dell’antimafia, parla di «sconfitta». Al coro di no si aggiunge anche il segretario dem Nicola Zingaretti: «Sentenza stravagant­e, non condivido». Il Guardasigi­lli Alfonso Bonafede (M5S) è pronto ad «analizzare le possibili conseguenz­e». Il pm antimafia Nino Di Matteo esorta la politica «a reagire». Di segno opposto le reazioni dei radicali e di Nessuno Tocchi Caino. «La Corte — ha detto Patrizio Gonnella (Antigone) — ha ribadito che la pena deve, sempre e comunque, tendere alla rieducazio­ne del condannato». Articolo 27 della Costituzio­ne.

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