Permessi premio anche ai mafiosi all’ergastolo
La Corte: chi non collabora ne ha diritto lo stesso. Zingaretti: stravagante. Salvini: grida vendetta
Incostituzionale non concedere permessi ai mafiosi anche se non collaborano. La Consulta fa cadere il divieto per i condannati che abbiano dato piena prova di adesione al percorso rieducativo e risultino oramai estranei all’attività criminale. La Corte costituzionale chiede che sia valutato caso per caso.
Un «uno due» micidiale si abbatte sull’antimafia. Dopo la sentenza della Cassazione, che cancella il metodo mafioso dal processo alla cosiddetta «Mafia Capitale», arriva la sentenza della Corte Costituzionale che allenta l’ergastolo ostativo: i giudici delle leggi cancellano così il divieto assoluto per gli ergastolani ostativi, che non collaborano con la giustizia, di accedere ai permessi premio durante la detenzione.
La Corte presieduta da Giorgio Lattanzi depositerà la sentenza nelle prossime settimane. Ma ha anticipato, attraverso il suo ufficio stampa, l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario: in particolare la parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, «anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia (...) il pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata». Il paletto lasciato dalla Consulta prevede che il «condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo». Così, in virtù della sentenza, «la presunzione della “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere nonché sui pareri della Procura antimafia antiterrorismo e del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica».
La decisione della Corte, che arriva a ridosso dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo («Inumana e degradante la pena che non preveda una possibilità di rilascio»), ha fatto infuriare il leader della Lega Matteo Salvini che ha azzardato l’ipotesi di un ricorso: «È una sentenza che grida vendetta. Vediamo di capire con i nostri uffici se sia possibile fare un ricorso». E così Stefano Ceccanti (Pd) ha dovuto rammentare all’ex vicepremier l’articolo 137 della Costituzione che non ammette «alcuna impugnazione» contro le decisioni della Corte. Protestano Forza Italia e Fratelli d’italia. Nicola Morra (M5S), presidente dell’antimafia, parla di «sconfitta». Al coro di no si aggiunge anche il segretario dem Nicola Zingaretti: «Sentenza stravagante, non condivido». Il Guardasigilli Alfonso Bonafede (M5S) è pronto ad «analizzare le possibili conseguenze». Il pm antimafia Nino Di Matteo esorta la politica «a reagire». Di segno opposto le reazioni dei radicali e di Nessuno Tocchi Caino. «La Corte — ha detto Patrizio Gonnella (Antigone) — ha ribadito che la pena deve, sempre e comunque, tendere alla rieducazione del condannato». Articolo 27 della Costituzione.