Corriere della Sera

UN MOVIMENTO INTRAPPOLA­TO NELLA «VETRINA» CAPITOLINA

- di Massimo Franco

L uigi Di Maio ridisegna la sociologia economica dell’italia. Abbandonat­i i panni di ministro degli Esteri e messi quelli di leader del M5S, adesso definisce quanti lavorano con le partite Iva «la classe operaia dei giorni d’oggi». E sostiene anche che il capo della Lega, Matteo Salvini, avrebbe provocato la crisi di governo ad agosto «perché aveva scoperto che i soldi per la flat tax non c’erano»: tesi come minimo singolare, ma utile in una campagna elettorale difficile come quella per il voto di domenica in Umbria dove il centrodest­ra è dato in netto vantaggio. Il messaggio più significat­ivo spedito ieri da Di Maio, tuttavia, riguarda Roma.

Il ministro ha annunciato una legge che dovrebbe dare poteri speciali al sindaco della capitale: la grillina Virginia Raggi. E lo ha fatto proprio nel momento in cui un altro ministro dei Cinque Stelle, Vincenzo Spadafora, vicinissim­o a Di Maio, è stato investito dalle critiche del Movimento. Motivo: aveva attaccato la sua gestione del Campidogli­o. Maliziosam­ente si potrebbe pensare che l’iniziativa dei poteri speciali sia nata per oscurare l’ennesima lite interna; e cancellare il sospetto che Raggi sia diventata una vetrina scheggiata del grillismo di governo.

La conferma sembra venire dal capo della delegazion­e del Pd, Dario Franceschi­ni. Stupito, il ministro della Cultura ha fatto sapere che su Roma Capitale «di pronto non può esserci davvero nulla», perché finora non è arrivata sul tavolo del governo nessuna legge del genere. Forse, aggiunge con un filo di ironia, «è un’iniziativa legislativ­a del suo partito» in incubazion­e. Dunque, né legge né risorse. Un brutto pasticcio, per Di Maio; e armi provvidenz­iali per un’opposizion­e in marcia per chiederne le dimissioni.

«Alla Raggi puoi dare anche la mantella di Batman, il problema è che non è capace», ironizza il leghista Matteo Salvini. A chiedere un nuovo sindaco sono anche i FDI di Giorgia Meloni, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e perfino parte del M5S. E forse è proprio questa filiera che ha spinto Di Maio a correggere il tiro e lanciare una proposta di cui non si trova traccia. In un Movimento in tensione, ogni parola può diventare un caso.

Il fatto stesso che il M5S non sia ancora riuscito a eleggere il capogruppo dei deputati dice molto sullo scontro tra fazioni interne. Per questo rispunta il tentativo di creare un quadrato sbilenco almeno intorno al Campidogli­o. È una roccaforte da difendere a ogni costo: anche contro l’evidenza di un quasi disastro. Ripetere che Raggi ha trovato «una città in macerie» e «tutto il Movimento sostiene Virginia» è l’invito estremo di Di Maio ai suoi a non aprire un fronte scivoloso; e destinato a colpire alla fine anche lui.

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