Non evochiamo Falcone, miglioriamo il sistema
Ora bisognerebbe fare le persone serie. Proprio ora che la Consulta piccona di nuovo gli automatismi. E tanto più ora che, per farlo, è rimasta impermeabile alla pressione atmosferica caricatale alla vigilia non solo dalla politica, ma anche da un «dream team» di pm. Anziché gridare a «Falcone riammazzato», ora è cruciale insistere affinché giudici di Sorveglianza, cancellerie, e nelle carceri le equipe di educatori e psicologi, al pari delle opportunità di rieducazione su cui in concreto misurare vero o finto il cambiamento delle persone, siano rafforzati e dimensionati per consentire quella verifica «caso per caso» disposta ieri dalla Consulta. Risparmiandosi, intanto, la gara a chi usi (peggio) i morti. Specie Falcone. Perché se l’ergastolo ostativo bocciato ieri, che nel caso di detenuti non collaboranti non lasciava ai giudici alcun margine di valutazione, fu introdotto dalla legge successiva al suo assassinio (la n.306 dell’8 giugno 1992), l’assetto appena precedente (legge 152 del 13 maggio 1991) prevedeva invece che anche il detenuto non collaborante potesse veder valutata dai giudici la propria richiesta di beneficio, solo dopo un più lungo periodo di tempo rispetto al detenuto collaborante: e in quel 1991 al ministero della Giustizia il Direttore generale degli Affari penali era proprio il magistrato poi ucciso a Capaci. Ecco: almeno su Falcone, il tiro alla fune no.