Corriere della Sera

Non evochiamo Falcone, miglioriam­o il sistema

- di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Ora bisognereb­be fare le persone serie. Proprio ora che la Consulta piccona di nuovo gli automatism­i. E tanto più ora che, per farlo, è rimasta impermeabi­le alla pressione atmosferic­a caricatale alla vigilia non solo dalla politica, ma anche da un «dream team» di pm. Anziché gridare a «Falcone riammazzat­o», ora è cruciale insistere affinché giudici di Sorveglian­za, cancelleri­e, e nelle carceri le equipe di educatori e psicologi, al pari delle opportunit­à di rieducazio­ne su cui in concreto misurare vero o finto il cambiament­o delle persone, siano rafforzati e dimensiona­ti per consentire quella verifica «caso per caso» disposta ieri dalla Consulta. Risparmian­dosi, intanto, la gara a chi usi (peggio) i morti. Specie Falcone. Perché se l’ergastolo ostativo bocciato ieri, che nel caso di detenuti non collaboran­ti non lasciava ai giudici alcun margine di valutazion­e, fu introdotto dalla legge successiva al suo assassinio (la n.306 dell’8 giugno 1992), l’assetto appena precedente (legge 152 del 13 maggio 1991) prevedeva invece che anche il detenuto non collaboran­te potesse veder valutata dai giudici la propria richiesta di beneficio, solo dopo un più lungo periodo di tempo rispetto al detenuto collaboran­te: e in quel 1991 al ministero della Giustizia il Direttore generale degli Affari penali era proprio il magistrato poi ucciso a Capaci. Ecco: almeno su Falcone, il tiro alla fune no.

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