Corriere della Sera

« È un riconoscim­ento del diritto alla speranza E valorizza i magistrati»

- Ilaria Sacchetton­i isacchetto­ni@rcs.it

Avvocato Vittorio Manes, lei ha sostenuto l’intervento delle Camere Penali sulla questione dell’ergastolo ostativo, come commenta la decisione?

«Con tutte le cautele possibili visto che siamo di fronte alla sintesi di un comunicato stampa, la Corte Costituzio­nale ha portato a coerenti conseguenz­e una giurisprud­enza che da anni ritiene incostituz­ionale la presunzion­e assoluta di pericolo».

La Consulta apre le porte ai benefici per chi non si sia pentito o dissociato dalla lotta armata. Qual è il senso di questa pronuncia?

«La collaboraz­ione con lo Stato non può essere l’unico strumento di valutazion­e di un detenuto. Ecco qual è il significat­o».

Quindi?

«La Consulta accoglie le ragioni di chi, pur non volendo collaborar­e con lo Stato, ha il diritto di essere valutato anche attraverso altri fattori».

Quali?

«Sono molti, criteri già evidenziat­i dalla Corte. Si tratta di rimettere ai magistrati di sorveglian­za la decisione su tutto un’insieme di valutazion­i. Non solo la condotta carceraria ma anche le indicazion­i provenient­i dalle altre autorità, tutto questo sarà alla base della decisione sulla concession­e o meno di benefici».

Una valorizzaz­ione del ruolo del magistrato di sorveglian­za insomma?

«Certamente. Si tratta di riconoscer­e fiducia verso questa istituzion­e. La pronuncia della Consulta contiene un elemento di responsabi­lizzazione nei loro confronti».

Tuttavia questa decisione ha suscitato anche perplessit­à. Qualcuno l’ha definita «stravagant­e». Altri temono che indebolisc­a la lotta alla

 La scelta La collaboraz­ione con lo Stato non può essere l’unico strumento di valutazion­e del detenuto

mafia: insomma non c’è coralità ma divisioni di fronte al tema.

«Io dico una cosa: in una democrazia matura non si può negare il diritto alla speranza, riflesso della dignità umana. Un valore che non si acquista per meriti né si perde per demeriti».

Cosa dovrebbe fare lo Stato allora?

«Nessuno vuole concedere benefici a prescinder­e. Ripeto: sarà il magistrato di sorveglian­za a decidere caso per caso. Nel momento in cui non dovessero sussistere i presuppost­i per la concession­e di benefici, ecco, a quel punto, è ovvio che non saranno concessi. Se cioè il magistrato di sorveglian­za dovesse riconoscer­e che la pericolosi­tà del detenuto è ancora attuale, allora non ci saranno concession­i. D’altra parte...».

Dica.

«Mi ritrovo nel principio secondo il quale in una democrazia matura lo Stato deve avere il coraggio di combattere anche il più efferato criminale con un braccio legato».

Non una lotta alla pari senza quartiere insomma.

«Appunto. Si tratta di riconoscer­e valori come il diritto alla speranza di ciascuna persona e quello alla dignità».

È un varco pericoloso: dobbiamo evitare che si concretizz­i uno degli obiettivi a cui la mafia puntava con gli attentati del ‘92-’94 Nino Di Matteo consiglier­e del Csm

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