L’ITALIA DEL BOSS
Domani su 7 l’intervista a Bruce Springsteen, figlio di Adele da Vico Equense. L’amore per San Siro («Salvatelo») e la promessa ai fan: arrivo
Tornerà presto a fare rock’n’roll, quello che chiama il suo «lavoro quotidiano». Bruce Springsteen, protagonista della cover di 7 in edicola domani con il Corriere, annuncia che ha voglia di «suonare un po’ con la band» e «venire a trovare i miei fan italiani». Il popolo springsteeniano è tranquillizzato, ma per chi soffre di crisi di astinenza c’è un nuovo progetto: un film e un disco che documentano un concerto privato, nel fienile della sua fattoria in New Jersey, in cui il Boss ha rifatto con band e orchestra le canzoni dell’ultimo album Western Stars. Bruce e il regista Thom Zimny, hanno deciso di legare i brani del concerto con un racconto, in cui memoria personale e equilibri universali si scambiano spesso di posto.
La pellicola Western Stars (nelle sale il 2 e 3 dicembre, la colonna sonora disponibile da domani) racconta, dice Springsteen, «la tensione che esiste fra libertà individuale e relazioni comunitarie». Approfondisce l’analisi: «Quando sei giovane è tutta una questione di voglio andare dove voglio, fare quello che voglio, essere quello che voglio. È bello quando hai 20 anni, ma se te lo porti dietro troppo diventa un limite. Quando invecchi cerchi una definizione più larga di libertà, qualcosa che includa il partner, la famiglia, la comunità, la vita pubblica. Invecchi e hai bisogno di queste cose per avere una vita appagante», racconta nell’intervista sul magazine. Il Boss sente il peso della cifra tonda, ha appena compiuto 70 anni, ma non si arrende: «Sono sempre alla ricerca di un modo fresco di raccontare storie. Arrivi a un momento in cui inizi a tirare le somme di quello che hai imparato e di quello che hai visto nella vita. Il prossimo passo sarà fare l’astronauta. Vi farò sapere come va». Non sono soltanto le origini della famiglia di mamma Adele, arrivata in America da Vico Equense, a legarlo all’italia. I suoi concerti a San Siro sono leggenda. Quello del 2003 sotto il diluvio se lo ricorda ancora. Il progetto di demolizione dello stadio lo preoccupa... «Veramente? Sarebbe tremendo. Un peccato. È un posto bellissimo. Per come è stato costruito è unico: il lato più lontano dal palco non è mai così lontano. Mentre suoni è come se avessi di fronte un muro di umanità e ti torna addosso un entusiasmo enorme. Ogni edificio ha un’anima, una sua vita spirituale. E fino a che sono sicuri, mi piace suonarci dentro. Le nuove costruzioni non ce l’hanno quell’anima».