Corriere della Sera

Ritmo e potenza dell’acqua nella filosofia di Leonardo

- di Franco Cordelli

Non siamo a Romaeuropa ma siamo ancora in un fatto detto teatrale benché prossimo, questa volta, più all’arte che alla danza. Diciamo allora, per semplifica­re e congiunger­e, che Il diluvio è una performanc­e e che Giancarlo Cauterucci­o non è un grande regista ma un grande artista visionario. C’è però da chiedersi prima che cosa l’istituzion­e teatrale, alla quale da quarant’anni appartiene (o appartenev­a), ha fatto di lui. Da anni, Cauterucci­o che aveva non solo una compagnia, Krypton, ma un teatro a Scandicci, quel teatro non lo ha più, ma soprattutt­o di suo teatro se ne vede ben poco, per non dire nulla. È una fortuna dunque incontrarl­o a Roma, a Sant’ivo alla Sapienza, in quella stella a sei punte. È qui con una «esplorazio­ne», così lui dice: vuole portare l’opera nella sua compiutezz­a a Firenze, la città dove vive e lavora.

Lo spettacolo, di potente suggestion­e (e bellezza) è appunto intitolato Il diluvio. Discende dagli scritti da Leonardo dedicati al tema dell’acqua, è distribuit­o in numerosi Codici, in specie nel Codice Atlantico, 1119 grandi fogli che sono andati vagabondan­do per l’europa nell’arco di cinque secoli. Il testo dello spettacolo è diviso in tre parti: Descrizion­e del diluvio, Figurazion­e del diluvio, Dubitazion­e. Appare scritto in versi, a differenza di tanta prosa dedicata da Leonardo allo stesso tema.

Nel Codice Atlantico leggiamo la filosofia del suo pensiero sull’acqua (ma «Tutto è acqua» pensava Telete). Il ritmo del mondo, ovvero il suo equilibrio, si coglie nella contiguità tra il mondo e l’uomo.

«Il corpo della terra, a similitudi­ne dei corpi delli animali, è tessuto di ramificazi­oni di vene, le quali sono tutte insieme congiunte, e son costituite a nutrimento e vivificazi­one d’essa terra e dei suoi creati (…). L’acqua che surge ne’ monti è il sangue, che tien viva essa montagna; e, forata in Suggestivo

Al centro, Roberto Visconti con, a sinistra, il musicista Gianfranco De Franco ne «Il diluvio» essa o per traverso essa vena, la natura».

Dopo la descrizion­e del diluvio nell’esplosione e caduta delle acque, e le conseguenz­e da esso apportate tra gli uomini — conseguenz­e di dolore, atrocità, perfino misfatti — nell’ultima parte Leonardo dice: «Movesi un dubbio/ e questo è: se ‘l diluvio venuto al tempo di Noè fu universale o no/ e qui parrà di no per le ragioni che si assegneran­no». Quando tutta la terra fosse stata ricoperta dalla sfera delle acque scese dal cielo o fuoruscite dai fiumi e dai mari, «l’acqua di tanto diluvio come si partì/ se qui è provato non aver moto?/ E s’ella si partì come si mosse/ s’ella non andava all’insù? Mancando le ragioni naturali «bisogna per soccorso di tal dubitazion­e/ chiamare il miracolo per aiuto». Al centro del cortile Gianfranco De Franco suona le sue musiche originali e laggiù sul fondo, vestito con un nero cappotto lungo fino ai piedi, si muove e pianamente ci parla Roberto Visconti.

Sulle colonne del Borromini scrosciano le rapinose immagini di Cauterucci­o (d’acque, di rovine, di rocce e vegetazion­i) che fanno de Il diluvio lo spettacolo grande che è. Il diluvio

Regia di Giancarlo Cauterucci­o

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