Ritmo e potenza dell’acqua nella filosofia di Leonardo
Non siamo a Romaeuropa ma siamo ancora in un fatto detto teatrale benché prossimo, questa volta, più all’arte che alla danza. Diciamo allora, per semplificare e congiungere, che Il diluvio è una performance e che Giancarlo Cauteruccio non è un grande regista ma un grande artista visionario. C’è però da chiedersi prima che cosa l’istituzione teatrale, alla quale da quarant’anni appartiene (o apparteneva), ha fatto di lui. Da anni, Cauteruccio che aveva non solo una compagnia, Krypton, ma un teatro a Scandicci, quel teatro non lo ha più, ma soprattutto di suo teatro se ne vede ben poco, per non dire nulla. È una fortuna dunque incontrarlo a Roma, a Sant’ivo alla Sapienza, in quella stella a sei punte. È qui con una «esplorazione», così lui dice: vuole portare l’opera nella sua compiutezza a Firenze, la città dove vive e lavora.
Lo spettacolo, di potente suggestione (e bellezza) è appunto intitolato Il diluvio. Discende dagli scritti da Leonardo dedicati al tema dell’acqua, è distribuito in numerosi Codici, in specie nel Codice Atlantico, 1119 grandi fogli che sono andati vagabondando per l’europa nell’arco di cinque secoli. Il testo dello spettacolo è diviso in tre parti: Descrizione del diluvio, Figurazione del diluvio, Dubitazione. Appare scritto in versi, a differenza di tanta prosa dedicata da Leonardo allo stesso tema.
Nel Codice Atlantico leggiamo la filosofia del suo pensiero sull’acqua (ma «Tutto è acqua» pensava Telete). Il ritmo del mondo, ovvero il suo equilibrio, si coglie nella contiguità tra il mondo e l’uomo.
«Il corpo della terra, a similitudine dei corpi delli animali, è tessuto di ramificazioni di vene, le quali sono tutte insieme congiunte, e son costituite a nutrimento e vivificazione d’essa terra e dei suoi creati (…). L’acqua che surge ne’ monti è il sangue, che tien viva essa montagna; e, forata in Suggestivo
Al centro, Roberto Visconti con, a sinistra, il musicista Gianfranco De Franco ne «Il diluvio» essa o per traverso essa vena, la natura».
Dopo la descrizione del diluvio nell’esplosione e caduta delle acque, e le conseguenze da esso apportate tra gli uomini — conseguenze di dolore, atrocità, perfino misfatti — nell’ultima parte Leonardo dice: «Movesi un dubbio/ e questo è: se ‘l diluvio venuto al tempo di Noè fu universale o no/ e qui parrà di no per le ragioni che si assegneranno». Quando tutta la terra fosse stata ricoperta dalla sfera delle acque scese dal cielo o fuoruscite dai fiumi e dai mari, «l’acqua di tanto diluvio come si partì/ se qui è provato non aver moto?/ E s’ella si partì come si mosse/ s’ella non andava all’insù? Mancando le ragioni naturali «bisogna per soccorso di tal dubitazione/ chiamare il miracolo per aiuto». Al centro del cortile Gianfranco De Franco suona le sue musiche originali e laggiù sul fondo, vestito con un nero cappotto lungo fino ai piedi, si muove e pianamente ci parla Roberto Visconti.
Sulle colonne del Borromini scrosciano le rapinose immagini di Cauteruccio (d’acque, di rovine, di rocce e vegetazioni) che fanno de Il diluvio lo spettacolo grande che è. Il diluvio
Regia di Giancarlo Cauteruccio