Trump assolve la Turchia sui curdi: tolte le sanzioni
Il presidente Usa rivendica il merito per la tregua in Siria Ma a Washington generali e diplomatici sono furibondi
Mentre i soldati russi entrano in Siria, Donald Trump si prende il merito per la tregua con i curdi e annuncia la cancellazione delle sanzioni contro Ankara. Malessere al Pentagono.
WASHINGTON Donald Trump e un pugno di consiglieri sono gli unici convinti di essere stati loro a fermare Recep Tayyip Erdogan al confine della Siria.
Il presidente americano ieri ha indirizzato «un messaggio alla nazione» in diretta tv, rivendicando «una grande vittoria per gli Stati Uniti». Trump ha cominciato così: «Stamattina presto il governo della Turchia ha informato la mia amministrazione che avrebbe interrotto i combattimenti e l’offensiva in Siria, attuando un “cessate il fuoco” permanente».
Il leader americano ha prima ironizzato: «Tuttavia anche se la parola “permanente” in questa parte del mondo è in qualche modo discutibile, la prendiamo per tale e quindi ho dato istruzioni al segretario al Tesoro di togliere le sanzioni economiche imposte alla Turchia lo scorso 14 ottobre». Infine Trump ha provato a passare all’incasso politico: «Questo risultato è stato determinato da noi e da nessun altro, da nessun’altra nazione. Molto semplice. Siamo pronti a essere criticati per questo o per prendercene il merito».
Il merito
Ma nessuno a Washington «darà il merito» di questa operazione a Trump. Nessuno, tranne i pochi fedelissimi che hanno gestito il ritiro dei soldati, le sanzioni burletta (dazi sull’acciaio, voce marginale, paragonabile ai tappeti, dell’import turco in America) e, soprattutto, hanno assistito impotenti all’intesa tra Erdogan e Vladimir Putin. I più furibondi sono gli alti gradi del Pentagono. Lo conferma al Corriere anche James Jones, generale dei Marines, già consigliere per la Sicurezza Nazionale con Barack Obama ed ex Comandante delle forze Alleate in Europa. Jones è in pensione, ma mantiene stretti rapporti con la Difesa. «I generali sono stati prima tenuti all’oscuro e poi le loro ragioni non sono state neanche ascoltate». Stesso clima al Dipartimento di Stato, dove tutte le analisi della struttura si sono arenate sulla scrivania di Mike Pompeo. Il Segretario di Stato, dicono queste fonti, non ne ha mai riferito al presidente. Infine il Consiglio di Sicurezza nazionale, l’organo di consultazione insediato alla Casa Bianca. John Bolton è stato costretto alle dimissioni il 10 settembre scorso. Fino all’ultimo aveva spinto perché gli Stati Uniti non smantellassero i presidi militari nel Nordest della Siria.
Generali, diplomatici e il team di Bolton concordavano su questi tre punti. Primo: il ritiro dalla Siria avrebbe minato la credibilità internazionale degli Stati Uniti. Secondo: la Turchia andava bloccata subito, con un messaggio chiaro. Non è concepibile che un membro della Nato concluda un accordo con Putin, cioè l’avversario principale dell’alleanza Atlantica ai danni di formazioni come i curdi che hanno combattuto fianco a fianco con gli Stati Uniti, vale a dire proprio il caposaldo di quella stessa Alleanza.
Punizione mancata
La Turchia andava punita con sanzioni efficaci. Terzo: il via libera a Erdogan significa dare spazio non solo a Mosca, ma anche alle milizie siriane pro Ankara che gli esperti di terrorismo del Consiglio di Sicurezza paragonano agli islamisti più radicali e più pericolosi. Una fonte dice: «Quelli sono come i talebani».
Il generale Jones aggiunge anche un aspetto psicologico: «Mi ha fatto molto male vedere i nostri uomini e le nostre donne in uniforme andarsene dalle loro postazioni, sotto il lancio di patate. So che è un sentimento condiviso nel mondo militare e non solo».