Corriere della Sera

Salvatores, un road movie che scava dentro le coscienze

- di Maurizio Porro

Traslato, reale, metaforico, simbolizza­to, il rapporto di padre-figlio è al centro del secondo tempo della carriera di Gabriele Salvatores. Che continua nel road movie verso il Nord, dopo aver esplorato il Sud, e ha scelto per Tutto il mio folle amore il soggetto di un romanzo di Ervas.

Nel folklorico deserto balcanico, tra Slovenia e Croazia, si consuma il tardivo, imbarazzat­o incontro tra il «Modugno della Dalmazia», un Claudio Santamaria dalla vita sbrindella­ta e in grandissim­a forma, col figlio mai conosciuto, un ragazzo autistico di 16 anni cresciuto con mamma Golino e il patrigno Abatantuon­o. Il miracolo del racconto si palesa e consuma nella parte centrale quando padre e figlio, extraterre­stri uno per l’altro, decidono di entrare nelle rispettive coscienze. Dopo due ragazzi invisibili, Salvatores ne mostra uno molto visibile, ma lo fa con grazia, pudore e misura, aiutato dal giovane Giulio Pranno che, se c’è giustizia nel cinema, dovrebbe restare a lungo con noi, perché è fantastico anche nel porsi quasi come doppio, l’ombra sbieca di un padre così sbalestrat­o.

E se prefazione ed epilogo devono spiegare perché e per come, il girovago senso del film in viaggio, col lento avviciname­nto, per entrambi patologico, è certo ben riuscito anche per il triste fascino visivo dei panorami umani e geografici. E ci sono le nuvole, come nell’episodio di Pasolini con la canzone di Modugno e quel verso da cui il titolo: e oggi come allora non si sa cosa sono e dove andranno.

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Sul set Diego Abatantuon­o (64 anni) e Valeria Golino (54) in una scena di «Tutto il mio folle amore», film ispirato al libro «Se ti abbraccio non aver paura»

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