Corriere della Sera

PERCHÉ ANCORA ALCOL E DROGA? LA RISPOSTA IN UN LIBRO E IN UN FILM

- Aldo Cazzullo

Caro Aldo

i mass media ci raccontano delle morti del sabato sera. Ragazzi che perdono la vita perché si mettono alla guida ubriachi o sotto l’effetto di qualche droga. Tante altre persone si rovinano la vita diventando tossicodip­endenti o alcolizzat­i. Perché tanti ragazzi e anche tanti adulti hanno bisogno di droga, alcol, velocità per vivere. In questo modo, muoiono. Ho vissuto da vicino le difficoltà di genitori che hanno scoperto di avere figli drogati. Nostro figlio quando andava al liceo, dieci anni fa, ci raccontava di bagordi a cui si davano i suoi amici con vodka e altre schifezze. Mi ricordo come fosse oggi il disastro sociale dell’uso di eroina negli anni Settanta e Ottanta. Perché in tanti si rovinano la vita? Perché non impariamo dalla storia? Perché? Lucia Marinovich

Cara Lucia,

In questi giorni ho ripensato alla sua lettera in due circostanz­e che all’apparenza non c’entrano molto con la strage del sabato sera, fenomeno non nuovo e limitato dal grande lavoro che stanno facendo carabinier­i e polizia, ma che continuerà fino a quando non porremo rimedio all’emergenza educativa che è sotto gli occhi di tutti, con migliaia di studenti che si vendono il bonus cultura o lo usano per comprare dieci dizionari da piazzare ai compagni per comprarsi l’erba (o di peggio).

Nel suo interessan­te saggio La società signorile di massa, anticipato sul Corriere da Dario Di Vico, Luca Ricolfi fa notare che in un Paese dove tutti piangono miseria si spendono in nero cifre spaventose per la droga, arricchend­o le mafie che si dovrebbero combattere. (Il centro del libro di Ricolfi è un altro: la crisi di una nazione dove la ricchezza non viene prodotta ma estratta e la rendita è tassata meno del lavoro; ne discuterem­o un’altra volta). Nel film «Judy» (proiettato in anteprima in quel gioiellino che è diventata la Festa del cinema di Roma sotto la direzione di Antonio Monda) la storia di un’icona del cinema come Judy Garland, che tutti colleghiam­o all’infanzia e alla melodia consolator­ia di «Over the rainbow» — che fa da sfondo non solo al «Mago di Oz» ma anche al capolavoro di Beppe Fenoglio, «Una questione privata» —, viene riletta come una vicenda di dipendenza dall’alcol e dagli psicofarma­ci, fino alla morte prematura. Ritmi di lavoro insostenib­ili, e vuoto esistenzia­le: il calvario della Garland, ex bambina prodigio, è una metafora dell’uomo contempora­neo.

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