Temo sia stato mio figlio
Una madre entra al commissariato per denunciare suo figlio, accompagnata da tutta la famiglia. Non riesco a immaginare una scena più lontana dagli stereotipi dell’italietta mammona che protegge la pecora nera sotto una coperta di omertà pur di non macchiare l’onore della casata. Qui c’è una donna che mette l’interesse della comunità davanti a quello della tribù. Solo Anna Magnani avrebbe potuto interpretare la signora Gianna Del Grosso (non riesco a scrivere il suo nome senza chiamarla «signora»). Ha avuto quattro figli e uno gli è uscito dispari, abbonandola alle preoccupazioni. Valerio l’ha resa nonna, ha anche trovato lavoro in una pasticceria, e lei per un attimo deve avere sperato che tutte le caselle si rimettessero a posto. E invece c’era qualcosa di storto in quel ragazzo che non voleva saperne di centrarsi. Con il sesto senso delle madri, l’altro giorno la signora Gianna si è svegliata in preda a un’agitazione indecifrabile. Ha cercato Valerio al telefono, ma era staccato. Ha chiamato in pasticceria, ma era andato via perché si sentiva poco bene. Allora ha sguinzagliato gli altri figli sulle sue tracce. Uno di loro, Andrea, ha saputo da un amico che Valerio era coinvolto nel delitto di cui parlavano tutti. E assieme ai genitori è andato alla polizia. Per salvargli un po’ di futuro. La stessa pulsione che ha poi spinto la ragazza di Valerio a segnalare il suo nascondiglio. La madre e la fidanzata, due donne che nel gergo della mala passeranno per infami, ma che nel mio si chiamano eroine.