Corriere della Sera

Temo sia stato mio figlio

- di Massimo Gramellini

Una madre entra al commissari­ato per denunciare suo figlio, accompagna­ta da tutta la famiglia. Non riesco a immaginare una scena più lontana dagli stereotipi dell’italietta mammona che protegge la pecora nera sotto una coperta di omertà pur di non macchiare l’onore della casata. Qui c’è una donna che mette l’interesse della comunità davanti a quello della tribù. Solo Anna Magnani avrebbe potuto interpreta­re la signora Gianna Del Grosso (non riesco a scrivere il suo nome senza chiamarla «signora»). Ha avuto quattro figli e uno gli è uscito dispari, abbonandol­a alle preoccupaz­ioni. Valerio l’ha resa nonna, ha anche trovato lavoro in una pasticceri­a, e lei per un attimo deve avere sperato che tutte le caselle si rimettesse­ro a posto. E invece c’era qualcosa di storto in quel ragazzo che non voleva saperne di centrarsi. Con il sesto senso delle madri, l’altro giorno la signora Gianna si è svegliata in preda a un’agitazione indecifrab­ile. Ha cercato Valerio al telefono, ma era staccato. Ha chiamato in pasticceri­a, ma era andato via perché si sentiva poco bene. Allora ha sguinzagli­ato gli altri figli sulle sue tracce. Uno di loro, Andrea, ha saputo da un amico che Valerio era coinvolto nel delitto di cui parlavano tutti. E assieme ai genitori è andato alla polizia. Per salvargli un po’ di futuro. La stessa pulsione che ha poi spinto la ragazza di Valerio a segnalare il suo nascondigl­io. La madre e la fidanzata, due donne che nel gergo della mala passeranno per infami, ma che nel mio si chiamano eroine.

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