Corriere della Sera

I 5 Stelle spaccati e gli inquieti tra i dem I «bachi» che si insinuano nel governo

Giorgetti: verosimile Draghi al posto di Conte. Ai suoi però confida: non ci pensa nemmeno

- Francesco Verderami

Il movimentis­mo dell’ex premier, il suo pressing sui forzisti anti salviniani, le voci che lo vorrebbero come regista di un’operazione per portare Di Maio a Palazzo Chigi o per far nascere un gabinetto istituzion­ale (due scenari peraltro contrappos­ti), serve ad accreditar­e una centralità politica che è necessaria a Renzi per tentare di far lievitare la sua forza nei sondaggi. Tuttavia il futuro di Conte dipende dai grillini e dalla capacità di reggere del Pd, dove si intravvedo­no delle manovre sugli assetti di partito.

Ecco dove s’insinua il baco. Il Movimento è diviso, i suoi gruppi parlamenta­ri — in Italia come in Europa — si muovono come corpi autonomi, tanto che anche una banale votazione alla Camera rischia di farlo esplodere. L’altro giorno è bastato che l’azzurro Sisto chiedesse il voto segreto su un emendament­o alla legge contro il bullismo, per seminare il panico nel governo. Che infatti ha accantonat­o la norma. Perciò sulla manovra si farà un ricorso massiccio alla fiducia.

Gli strumenti parlamenta­ri non possono però coprire i problemi politici, a partire dai rapporti tra il premier e Di Maio che sono «compromess­i irrimediab­ilmente», come ha confidato un ministro a cinque stelle. L’ultima lite è dell’altro ieri: mentre il capo del governo era a colloquio con il presidente della Cei Bassetti, il ministro degli Esteri — geloso delle relazioni del premier in Vaticano — ha lanciato la proposta di recuperare cinque miliardi dall’imu della Chiesa. Apriti cielo: «Anche questa la lego al dito», ha urlato Conte.

E la photo opportunit­y di ieri in Umbria (senza Renzi) non accorcia le distanze nella coalizione. Anzi, rischia di farle aumentare se è vero che «la parata di Narni» non è piaciuta a molti esponenti pd di partito e di governo: «C’era bisogno di mettere la faccia sulla sconfitta?». È certo che il voto regionale non avrà effetti sull’esecutivo, ma tanto basta per capire che anche tra i democrat il fuoco cova sotto la cenere. In ballo ci sono gli equilibri interni. Basta osservare i primi segnali: c’è il sindaco di Firenze Nardella che propone di «cambiare nome», c’è il «giovane turco» Verducci che chiede «primarie e congresso», e c’è addirittur­a chi in prospettiv­a vedrebbe Zingaretti come «il miglior candidato al Campidogli­o»...

Dentro queste crepe s’infilano Renzi e l’opposizion­e. E il leghista Giorgetti — che definisce «verosimile il cambio di Conte con Draghi» — lo fa ovviamente per destabiliz­zare il campo avverso. È la stessa tattica usata da Renzi prima che fosse varato il Conte-bis: «La situazione è tale — disse al Corriere — che a Palazzo Chigi servirebbe un drago come Draghi non un conte con la c minuscola». Il «verosimile» in politica è un’arma di distrazion­e di massa. Peraltro Giorgetti — visti i rapporti diretti con il presidente uscente della Bce — conosce la verità, confidata a un esponente della Lega: «Draghi non ci pensa nemmeno a finire in quel manicomio. Altra cosa sarebbe il Quirinale...».

Ma la corsa al Colle scatterà fra tre primavere, mentre

Conte deve capire cosa ne sarà di lui la prossima. Almeno, quello è considerat­o il momento del «tagliando» al governo, dove — non a caso — si discute se accelerare le nomine prima della tornata di Regionali in maggio. È il segno che per ora non si respira aria di crisi, ma è anche indicativo del fatto che — sulle questioni di potere — il premier voglia comunque mettere le sue «scelte» al riparo da imprevisti. I suoi problemi però potrebbero venire (anche) dai due maggiori partiti, perché intanto Renzi fatica nella campagna acquisti dentro Forza Italia: «Tranne qualche ipotetico caso isolato — secondo l’ex ministro Lupi — non avrà capacità attrattive finché resterà dentro la maggioranz­a».

Per cambiare Conte in corsa servirebbe allora una sorta di sfiducia costruttiv­a, una crisi pilotata con l’accordo tra le forze politiche già pronto. «Smettetela di perdervi dietro inutili discussion­i», è sbottato Franceschi­ni in una riunione di partito: «Chi dovrebbe fare questo accordo? E con chi, visto che nessuno si fida di nessuno?». Così il capo-delegazion­e del Pd ha evocato un film degli anni Ottanta, Wargames, in cui un ragazzino ferma un computer impazzito a un passo dalla guerra nucleare totale: «Se continua così, non vince nessuno e perdiamo tutti». Il computer di Palazzo non è spento.

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