Corriere della Sera

TUTTI CORRONO A RIAD, PIÙ AFFARI CON I SAUDITI MALGRADO LE CONDANNE

- di Guido Olimpio

Ètrascorso un anno abbondante da quando Jamal Khashoggi è scomparso mentre era all’interno del consolato saudita a Istanbul. Una sparizione che ha suscitato dune di sdegno, spazzate via però dal vento della Realpoliti­k. La Turchia ha usato il dramma come pungolo ma le sue priorità sono altre: i curdi, la Siria, i missili. La diplomazia occidental­e ha mandato qualche segnale. Più di facciata che di sostanza. Forse ha fatto di più a livello formale il Congresso statuniten­se, ma forse perché ha impiegato il dramma in chiave anti-trump. E lui, The Donald, non ha perso tempo in ipocrisie, lo ha detto apertament­e: non rischio dei posti di lavoro compromett­endo le relazioni con chi compra valanghe di armi e prodotti made in Usa. Certo, il regno è uscito ammaccato. Il re ha cambiato due volte il ministro degli Esteri, ha affiancato con qualche consiglier­e il figlio — l’ambizioso e impetuoso principe Mohamed — , ha messo mano al settore petrolifer­o. Il Paese, nonostante le spese miliardari­e per la difesa, è parso fragile davanti ai bombardame­nti che hanno danneggiat­o i siti petrolifer­i, così come deve districars­i nel conflitto yemenita tra raid pesanti e ricerca di soluzioni negoziabil­i. Proprio le debolezze hanno finito per ispirare cautela nella condanna. La Casa Bianca vorrebbe che la Nato facesse la sua parte nel tutelare uno Stato-chiave. Intanto imprendito­ri, finanzieri, capi di grandi gruppi corrono a Riad che chiede investimen­ti a lungo termine, offre opportunit­à, apre al turismo. Varchi sfruttati anche da Putin, tenero nelle reazioni all’eliminazio­ne di Khashoggi, veloce nel firmare una serie di intese con una storica visita nel Paese. La morale è semplice: lo show va avanti, gli affari pure.

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