Cara Giulia, ecco cos’è il fascismo Per conoscere e non dimenticare
Lettere aperte a un’alunna di seconda media sulla dittatura di Mussolini La violenza, la menzogna, il ruolo fondamentale del consenso passivo
Mi capita spesso, per ragioni professionali e culturali, di partecipare a incontri e conferenze in teatri, circoli e in scuole di ogni grado. Quando mi invitano in qualche classe, anche di una media inferiore, accetto appena possibile per due ragioni: la spinta invincibile della curiosità e l’ossessiva compagnia di un dubbio. Curiosità perché ho sempre avvertito la spinta istintiva dei ragazzi a voler sapere e conoscere. Il dubbio perché mi ha sempre infastidito uno sciocco luogo comune: che ai giovanissimi interessino soltanto i clic e i like sullo smartphone. Niente altro.
Ho invece raccolto dappertutto attenzione e pioggia di domande. Un giorno, parlando del significato delle «pietre d’inciampo» — preziosi micro-ostacoli collocati nei luoghi dove abitavano gli ebrei deportati per difendere la memoria — ho avuto come una folgorazione: che un giovane regista del Teatro Franco Parenti di Milano ha poi trasformato, almeno per me, in un fascio di luce. Durante un dibattito ha detto che i giovanissimi sono le più vere «pietre d’inciampo» per non dimenticare. Sono loro infatti a convincere genitori e parenti, invecchiati nella rassicurante indifferenza o nelle spire della noia, a muoversi e a seguirli lungo i sentieri della conoscenza.
Certo, per entrare in autentica sintonia con i ragazzi, bisogna essere credibili, sinceri, e lontani dal trombonismo accademico, che è spesso saccente, presuntuoso, verbalmente aggressivo ed elitario. Ricordo quanto Indro Montanelli scrisse e ripetè, parlando dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini: «La gente è con lui, qualunque cosa dica, perché il capo dello Stato sa sempre di pulito».
Ecco perché mi ha molto intrigato il libro di Daniele Aristarco che va oggi in edicola con il «Corriere della Sera», a cominciare dal titolo: Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi. Ho ascoltato, via web, le video-interviste che l’autore ha dato ad attentissime scolaresche negli ultimi tempi e mi hanno colpito, assieme al carattere, la sua capacità di argomentare, utilizzando esempi chiari e concreti.
Aristarco è giovane (42 anni), ma sa raccordarsi bene con chi potrebbe essere suo figlio. Ed è convincente, proprio perché «sa di pulito».
La storia del libro, pur nella sua indubbia originalità, è in realtà semplice. Lo scrittore è stato invitato nella classe II C di una scuola media romana a parlare di teatro e di William Shakespeare. Come tutti i curiosi, mentre parla cammina tra i banchi dell’aula cercando di immaginare, con il soccorso di qualche segno, la personalità di ogni studente. Ed è attratto improvvisamente dalla scritta su un banco. Brevissima, incisa nel legno con un preciso lavoro di intarsio: DVX, con la V al posto della U. «Di chi è questo banco?», domanda l’ospite. «Di Giulia — risponde una delle due professoresse —. Ma oggi è assente».
La conversazione, abbandonati i binari rassicuranti di Otello, Desdemona, Amleto e il marcio in Danimarca, scivola su un tema che molti, a partire dai docenti, avrebbero volentieri evitato, in quanto accidentato e pericoloso: il fascismo. «È vero che il fascismo sta tornando di moda?», domanda un ragazzo, proprio quando la provvidenziale campanella segnala la fine della lezione.
Lo scrittore se ne va, accompagnato e turbato dai dubbi. Magari quel DVX era stato inciso in un’altra epoca, magari Giulia non c’entra nulla. Però, un pensiero dietro l’altro, l’autore arriva a una conclusione. Scriverà a Giulia delle lettere per spiegarle che cosa è stato il fascismo e come potrebbe essere quello di oggi. Diverso nella forma, camuffato, ma sostanzialmente simile nella sostanza.
Decide di scriverle prima di tutto perché non la conosce, quindi può soltanto immaginare il volto e la figura di una dodicenne in jeans, con lo zainetto che le balla sulla schiena, e può inoltrarsi nella sua mente, alimentandone la curiosità. Curiosità moltiplicata dalla sorpresa di ricevere delle lettere: sì, sì, proprio quelle con carta e penna. Mezzi comunicativi che oggi non usano quasi più. La mail è rapida e cerca di catturare il presente, anzi l’attimo fuggente; la lettera invece ha un sapore antico, ma rispecchia anche l’intima gioia di sfuggire alla gabbia dell’immediato e spingere ad una meditata riflessione.
Dal confidenziale «Ciao Giulia», con la confessione di aver avuto un’idea «antiquata», ad un «Cara Giulia» più personale e affettuoso, dove lo scrittore racconta ed esprime le sue idee: «La nascita del fascismo; le ragioni che consentirono al dittatore Benito Mussolini di governare per vent’anni; l’eredità culturale che questa storia ha lasciato al nostro Paese; quanto, ancora oggi, il nostro pensiero sia influenzato da alcuni concetti o abitudini nati all’epoca».
È evidente come lo scrittore voglia parlare soprattutto dei deviati artigli del «potere». Sia sostantivo, sia verbo. E qui Aristarco racconta e spiega i vari tipi di dittature e di dittatori, addentrandosi nel trafficato binario tra consenso «attivo» e «passivo». Fondamentale il richiamo all’eredità più pericolosa della mentalità fascista. Come scrisse Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, «il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, cioè privandoci della sensibilità». In sostanza chi smette di pensare e di sentire, diventa incapace sia di pensare sia di sentire.
Non solo. Il fascismo, come ricorda l’autore alla dodicenne, «trattava il dissenso come una malattia da isolare e debellare, ma il dissenso è invece una risorsa. Solo confrontandosi
Partecipazione
I più giovani non sono indifferenti. Anzi sono spesso loro a scuotere l’inerzia degli adulti
Pericolo
La mentalità dispotica può ripresentarsi nelle forme più sinuose e a volte impensabili
con i pareri discordanti si riesce a penetrare la complessità delle cose... Il fascismo mise a tacere ogni forma di dissenso per esibirsi in un lungo, folle monologo che si trasformò in delirio».
La pragmatica lezione di storia, lontana dal sapere esclusivo di uno studioso, si trasforma in un allegro, ma non troppo, carrozzone di immagini, legate ai busti e alle statue. Non a quelli con cui si celebra il passato glorioso delle civiltà greca e romana, ma il più invasivo culto della personalità. Le statue del Duce, e il loro diverso scopo, fino al busto vuoto che ne accompagna la fine.
Quello che spinge l’autore, con un’intuizione geniale, è la presenza costante di un «fascismo eterno», che nasce e rinasce nelle forme più sinuose e impensabili. Anche oggi, infatti, per dire una bugia è sufficiente una manciata di secondi, per ingigantirla basta un tweet, ma per smontarla occorrono tempo e prove inattaccabili. E forse non basta, perché ormai la bugia o la calunnia sono entrate nell’immaginario della gente.
Davvero pregevole, il lavoro di Daniele Aristarco. Con una lettera finale che è un messaggio di speranza per la nostra bella Italia inviato a Giulia. «Cara, proteggo ciò che amo e provo a raccontarlo».