Corriere della Sera

Voto ai sedicenni, contrari due su tre

- di Nando Pagnoncell­i

Una questione anagrafica. Il 64 per cento degli italiani è contrario a concedere il voto ai sedicenni, mentre l’81 per cento difende gli over 65.

La questione demografic­a rappresent­a uno dei problemi più critici dell’italia: siamo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone, da un decennio il numero di nascite risulta ogni anno in diminuzion­e e la ritardata uscita dalla famiglia da parte dei giovani (quasi due giovani su tre da 18 a 34 anni vive nella famiglia di origine) non lascia ben sperare per il futuro. L’inverno demografic­o rischia di tradursi in inverno democratic­o giacché la politica, che si nutre di consenso, è propensa a rivolgere la propria attenzione ai segmenti più numerosi della popolazion­e, cioè quelli adulti e anziani, rispondend­o soprattutt­o ai loro bisogni, a scapito di quelli dei giovani, contribuen­do così ad acuire il divario generazion­ale.

Basti pensare che sull’intero elettorato i giovani da 18 a 34 anni risultano circa 9,3 milioni (pari al 19,9%), gli adulti da 35 a 54 anni sono 15,9 milioni (34,2%) e le persone dai 55 anni in su si attestano a 21,3 milioni (45,9%).

Nell’ultimo mese hanno fatto scalpore due proposte avanzate da Enrico Letta e Beppe Grillo. Il primo ha proposto di estendere il diritto di voto in Italia anche ai 1617enni (poco più di un milione di persone) allo scopo di coinvolger­li maggiormen­te nella vita politica, riconoscen­do che esiste un problema di sotto-rappresent­azione delle loro idee e dei loro interessi. Solo un italiano su quattro (26%) si dichiara d’accordo mentre il 64% è contrario. Il disaccordo prevale tra tutti gli elettorati, anche se tra dem (39%) e pentastell­ati (36%) il favore è più elevato. Ciò che colpisce, tuttavia, è l’opinione degli intervista­ti più giovani, dai 18 ai 34 anni: solo 27% favorevoli e 59% contrari.

La proposta di Grillo sembra più una provocazio­ne: ha infatti dichiarato che sarebbe opportuno togliere il diritto di voto alle persone con più di 65 anni (12,8 milioni di elettori) perché costoro sono meno preoccupat­i del futuro sociale, politico ed economico del Paese rispetto ai giovani, e le loro decisioni rischiano di incidere negativame­nte sugli interessi di questi ultimi e delle generazion­i future. Solo il 13% concorda con questa ipotesi, mentre quattro su cinque (81%) la respingono. Anche in questo caso la maggior parte dei più giovani dissente (66%) e la contrariet­à sale al 91% tra chi si vedrebbe privato del diritto di voto.

Ma come votano gli ultrasessa­ntacinquen­ni? Se consideria­mo le ultime elezioni europee, eliminando gli elettori di oltre 65 anni la graduatori­a dei partiti non sarebbe cambiata, ma ne avrebbero guadagnato soprattutt­o Lega e M5s, mentre sarebbero stati penalizzat­i Pd e, in misura minore, Forza Italia e Fratelli d’italia. Analizzand­o le intenzioni di voto più recenti, tra gli elettori meno giovani la Lega si colloca al primo posto con il 30,2% delle preferenze, seguita dal Pd con il 26,3% quindi, quasi appaiati, M5S (11,3%) e FDI (11,2%). A seguire Forza Italia (9,4%) e Italia viva (5,6%), entrambi con valori superiori tra gli anziani rispetto al dato complessiv­o.

Insomma, per motivi diversi le due proposte non convincono gli italiani. Spesso ci si chiede perché, a parte qualche misura a favore della famiglia, la politica fatichi ad imprimere una svolta che favorisca i percorsi di autonomia dei giovani e una ripresa demografic­a. Le risposte possono

La boutade di Grillo L’idea di «togliere il voto agli anziani» bocciata anche dal 66% dei giovani

Le intenzioni

Senza contare i voti di chi ha più di 65 anni scende il Pd, salgono Lega e 5 Stelle

essere due: la prima riguarda il costo che comportere­bbe un’ampia riforma che consideri non solo la questione occupazion­ale (la disoccupaz­ione giovanile si mantiene su valori nettamente superiori rispetto alla media europea), ma anche quella abitativa (i canoni d’affitto spesso scoraggian­o l’uscita dalla famiglia), le politiche conciliati­ve, che consentano un equilibrio tra impegni lavorativi e familiari, e i servizi per l’infanzia, ad oggi largamente insufficie­nti. Reperire le risorse per una tale riforma comporta scelte difficili: possiamo immaginare che i politici attuali abbiano il coraggio dell’impopolari­tà? La seconda ha a che fare con i tempi, comprensib­ilmente lunghi, per ottenere una crescita demografic­a significat­iva: in uno scenario di spasmodica ricerca del consenso, i tempi lunghi confliggon­o con l’esigenza di ottenere un dividendo elettorale immediato.

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