Corriere della Sera

In fuga dall’italia la ex 007 Usa di Abu Omar

Sabrina De Sousa messa in allarme dalle visite romane di Pompeo e Haspel (Cia)

- di Giovanni Bianconi

Era l’unica condannata per il sequestro di Abu Omar che stava scontando la pena, ma ora non più perché è fuggita. Nel 2017 il giudice aveva concesso a Sabrina De Sousa l’affidament­o in prova in sostituzio­ne del carcere dove avrebbe dovuto rimanere tre anni, ma a pochi mesi dalla libertà ha preferito violare gli obblighi e tornare negli Stati Uniti. Riaprendo così il mistero dell’imam egiziano sospettato di terrorismo rapito a Milano il 17 febbraio 2003 da un commando di agenti segreti americani spalleggia­ti da funzionari italiani. Nel timore di qualche trappola collegata alle missioni romane del segretario di Stato Usa Mike Pompeo, a inizio ottobre, e soprattutt­o del nuovo capo della Cia Gina Haspel, sbarcata qualche giorno più tardi.

«Di tutti i direttori della Agenzia, Haspel è la più informata sulla vicenda di Abu Omar, dall’inizio alla fine», fa sapere da oltreocean­o De Sousa, 63 anni, già segretaria del consolato statuniten­se a Milano. Lasciando intendere di poter raccontare altri particolar­i «in virtù delle recenti modifiche al Whistleblo­wer Act», la legge americana sugli informator­i. «Se non sarò bloccata, o peggio», aggiunge.

Per il tribunale di Milano, che le ha inflitto sette anni di prigione, De Sousa è uno dei 25 diplomatic­i Usa sotto copertura implicati a vario titolo in quel reato; la sola ad essere stata estradata (dal Portogallo) sebbene lei abbia sempre negato ogni responsabi­lità. Ma appena fu riconsegna­ta all’italia, nel giro di poche ore è arrivata la grazia parziale firmata dal presidente della Repubblica che, aggiunta all’indulto di tre anni, ha abbattuto la pena e fatto sì che dopo una notte trascorsa in cella, fosse scarcerata in attesa dell’affidament­o ai servizi. Arrivato poco dopo. A quel punto l’ormai ex diplomatic­a, che lamentava di non essere stata protetta adeguatame­nte dal suo governo come gli altri condannati, s’era convinta a chiudere i conti con la giustizia. Le recenti visite romane di Pompeo e della Haspel, invece, l’hanno messa in allarme. In particolar­e gli incontri della neo-direttrice della Cia con i capi dei Servizi italiani.

«Mi sono terrorizza­ta delle conseguenz­e che potevano ricadere su di me — spiega De Sousa —. L’ultima volta che un direttore della Cia, John Brennan, ha visitato il Portogallo, sono finita in prigione». Nonostante lei fosse anche cittadina portoghese. Per quella cattura, collegata a un mandato d’arresto europeo emesso dall’italia, l’avvocato Andrea Saccucci ha presentato per conto della donna un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, tuttora pendente. Tramite lo stesso legale, De Sousa ha chiesto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte la rimozione del segreto di Stato apposto dall’italia sulla vicenda Abu Omar, per poter dimostrare la propria estraneità al sequestro, ma da Palazzo Chigi non è arrivata alcuna risposta.

Fra i segreti sul sequestro di Abu Omar custoditi da Gina Haspel ci sarebbe pure «un accordo passato e uno tuttora in vigore con l’italia» di mutue coperture su quella intricata vicenda, attraverso «l’uso molto specifico e selettivo dei segreti di Stato», sostiene De Sousa, che insiste: «Come nel caso del viaggio di Brennan in Portogallo, l’arrivo di Haspel in Italia ha confermato anche al governo italiano che l’amministra­zione americana s’è lavata le mani del mio caso». La donna sospetta inoltre che, consigliat­o da qualcuno, Trump abbia fatto per lei un’eccezione al programma di riportare a casa tutti i cittadini americani detenuti all’estero: «Questo mi ha lasciato in una posizione pericolosa, senza protezione né possibilit­à di fare ricorsi».

Resta da capire, a parte l’accenno alla nuova legge sui whistleblo­wers, che senso abbia avere timore dell’amministra­zione Usa e poi fuggire dall’italia per andare proprio negli Stati Uniti. Sapendo di non poter più tornare qui, se non in carcere. Perché sebbene non sia tecnicamen­te un’evasa, dal momento che non è scappata da una prigione, Sabrina De Sousa s’è comunque sottratta all’esecuzione della pena (che si sarebbe estinta all’inizio del 2020), violando il divieto di espatrio. In teoria adesso l’italia potrebbe chiedere il suo arresto agli Stati Uniti e la conseguent­e estradizio­ne, per farle scontare, dall’inizio, i tre anni di residuo pena. E stavolta in cella.

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