I soldati russi in Rojava, quelli Usa verso i pozzi Il Cremlino: banditismo
Alla fine eccoli, i soldati russi: pattugliano il centro della città più popolosa del Rojava. È il risultato delle intese di Putin con Erdogan, Assad e i curdi con le spalle al muro. Li abbiamo visti arrivare ieri nel mercato di Qamishli. Non molti, forse una decina. Parlavano con i negozianti, piantonavano gli incroci coi mitra puntati in basso. La gente li guarda: i curdi con evidente timore, i cristiani li considerano liberatori e garanti della tregua. Al loro fianco si muovono ormai liberamente centinaia di soldati siriani fedeli ad Assad. Sono usciti dai quartieri in cui erano trincerati dal 2011 e ora attendono di sostituire la sovranità di Damasco a quella di Rojava. Ma a fare la differenza sono i russi.
Il loro arrivo coincide con le accuse russe di «banditismo» a Trump, che ha inviato 500 soldati di guardia ai pozzi petroliferi di Deir al Zor. È la più ricca zona del Paese ed era la fonte maggiore di reddito del Califfato. «Vogliamo evitare che i pozzi tornino nelle mani di Isis», spiega il Segretario di Stato Usa, Mark Esper. Ma da Mosca replica il portavoce della Difesa, Igor Konashenkov: «La presa dei campi petroliferi da parte di Washington è un’operazione di banditismo di Stato. Tutti i depositi di idrocarburi in Siria non sono dei terroristi di Isis e ancora meno degli americani, ma solo della Repubblica Araba Siriana». La situazione si complica in vista dello scadere, lunedì notte, del cessate il fuoco mediato da Putin.
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