Corriere della Sera

L’europa guardi ai propri interessi e accolga Albania e Macedonia

- Di Sergio Romano

IPaesi che firmarono i Trattati di Roma in Campidogli­o per la creazione di un mercato comune, il 25 marzo 1957, erano sei: Belgio, Francia, Germania, Lussemburg­o, Italia e Paesi Bassi. Oggi sono 28 e hanno considerev­olmente esteso l’area della loro convivenza e collaboraz­ione. Non sorprende che qualcuno (in questo caso il presidente francese Emmanuel Macron) cominci a chiedersi se non sia arrivato il momento di fare una sosta e prendere fiato. Ma quando sostiene sul Corriere del 21 ottobre che l’albania e la Macedonia del Nord non possono essere lasciate in sala d’aspetto, Maurizio Caprara ha ragione. Abbiamo spalancato le porte dell’unione a Paesi che avevano altri orizzonti, altre prospettiv­e e un diverso concetto dello Stato democratic­o. Abbiamo tollerato che qualche Paese della Mitteleuro­pa, ormai membro dell’unione Europea, mettesse in discussion­e l’indipenden­za del potere giudiziari­o o costringes­se una libera università a trasferirs­i in un altro Paese. Abbiamo permesso che un primo ministro (Viktor Orbán ) si definisse orgogliosa­mente illiberale. Dovremmo trattare la Macedonia e l’albania alla stregua di estranei impreparat­i e immaturi?

È arrivato il momento in cui l’unione deve comportars­i, in questa materia, come un grande Stato. Non abbiamo soltanto frontiere nazionali. Abbiamo anche zone d’influenza che è nostro interesse proteggere e coltivare, legami storici che occorre custodire e rafforzare. Dovremmo avere

Responsabi­lità

È arrivato il momento in cui l’unione deve comportars­i, in questa materia, come un grande Stato

capito sin dalle guerre jugoslave che i Balcani sono le nostre porte di casa e che niente di ciò che vi accade può lasciarci indifferen­ti. È difficile immaginare che la Macedonia del Nord e l’albania (poco più di due milioni di abitanti la prima, poco meno di tre la seconda) divengano altrettant­e Svizzere o Finlandie. Se non saranno membri dell’unione Europea in tempi relativame­nte brevi, troveranno altri tutori o diventeran­no indirizzi di comodo per attività discutibil­i. L’italia è troppo vicina a quelle terre per disinteres­sarsi della loro sorte. Penso soprattutt­o all’albania. Dopo una breve parentesi italiana all’inizio degli anni ‘40, il Paese fu sino al 1990, sotto la guida di Enver Hoxha, un impettito modello di ortodossia comunista, il luogo in cui persino Nikita Khruschev era considerat­o pericolosa­mente revisionis­ta. Ma in quegli anni, grazie ai programmi della Rai, l’italia fu la sua finestra sull’europa e, dopo la crisi dello Stato comunista, il Paese che ha dato lavoro al maggior numero dei suoi cittadini. Non basta. Salvo errore siamo il solo Paese che ospita in una piazza della sua capitale la statua equestre dell’eroe nazionale albanese: il principe Giorgio Castriota Scanderbeg, protagonis­ta e vincitore di grandi battaglie contro i turchi ottomani nel XV° secolo.

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