Corriere della Sera

COMINCIA IL «DOPO DRAGHI» E L’EUROPA RESTA SENZA VOLTO

Geopolitic­a Il cambio al vertice della Bce e della Commission­e avvengono mentre la Germania non costituisc­e più un modello da emulare nell’unione. Ma potrebbe non essere un male

- Di Federico Fubini

C he Europa sia quella che in questi giorni rende omaggio a Mario Draghi lo si intuisce dalla condizione in cui si trova Angela Merkel. Anche la cancellier­a domani sera sarà a Francofort­e per la cerimonia di commiato del presidente della Banca centrale europea. Ma per lei si tratterà giusto di qualche ora di sollievo dall’ultima polemica che la investe: in molti la attaccano, anche nel suo partito, da quando lei è intervenut­a di persona perché Huawei sviluppass­e la rete digitale in 5G della Germania.

Ora, quella tecnologia permetterà ai dati in rete di viaggiare venti volte più veloci e diventerà il sistema nervoso delle economie avanzate. Cambierà il modo e i luoghi nei quali l’industria produce, le città funzionano, le persone comunicano, gli Stati spiano o interferis­cono nella vita di altri Stati rivali. E la cinese Huawei ha l’obbligo legale di cooperare con il partito comunista di Pechino.

Anche in Germania, non solo negli Stati Uniti, molti stanno sostenendo in questi giorni che la cancellier­a non avrebbe dovuto fidarsi. Ha messo un bene strategico del suo Paese nelle mani di un altro Stato, autoritari­o e potenzialm­ente nemico. A quanto pare però Merkel ha dovuto piegarsi alle pressioni dei grandi gruppi auto tedeschi, che temono di perdere quote sul mercato cinese se il loro governo annunciass­e scelte sgradite a Pechino. Huawei magari davvero spierà. Ma rifiutarle la licenza tedesca oggi sarebbe stato un affronto alla Cina che il made in Germany, in recessione industrial­e, non vuole rischiare.

Così il Paese più forte dell’unione europea è ridotto sul piano internazio­nale al rango di nano geopolitic­o. La Germania è resa ricattabil­e dalla propria dipendenza dall’export — dunque dall’arbitrio

La cerimonia Al commiato del presidente della Banca centrale europea ci sarà anche Angela Merkel, molto criticata nel suo Paese

dei poteri che governano i suoi mercati di sbocco — aggravata da una carenza di investimen­ti che obbliga i tedeschi a diventare clienti di tecnologie altrui. Questa improvvisa presa di coscienza della propria vulnerabil­ità sta cambiando anche l’approccio di Berlino verso il resto d’europa. La Germania ha smesso di incalzare gli altri perché emulino il proprio modello ed è entrata in una fase di ripiegamen­to. Ma, come ricorda Eurointell­igence, la vicenda di Huawei è emblematic­a di una debolezza non solo tedesca ma più in generale europea: se questo è il Paese più forte, immaginars­i gli altri.

Tutto questo naturalmen­te non avrebbe niente a che fare con Draghi, non fosse che il presidente della Bce era l’ultimo leader riconosciu­to che l’europa avesse nel mondo. Ora che esce di scena, questa Unione diventa sempre più palesement­e acefala. Il primo requisito della leadership del resto è la continuità, il sapere di essere ancora in circolazio­ne tra qualche anno per far valere le minacce o le promesse che si è in grado di formulare

Autorità Il banchiere è l’ultimo leader europeo riconosciu­to Potrebbe però emergere un potere collettivo

oggi. Ma guardiamoc­i intorno: Ursula von der Leyen alla Commission­e e Christine Lagarde alla Bce hanno sì un’alta aspettativ­a di vita politico-istituzion­ale, ma iniziano le loro presidenze fra mille dubbi. Nel caso di Lagarde, manca la competenza tecnica che è servita a Draghi per dominare intellettu­almente un organismo di vertice della Bce che tende a dilaniarsi. E di von der Leyen si contano già gli errori che ne minano la credibilit­à nel rapporto con l’europarlam­ento e alcuni dei principali governi.

Quanto ai leader nazionali, oggi hanno alte probabilit­à di essere in circolazio­ne fra tre o quattro anni in Europa solo Sebastian Kurz a Vienna, Viktor Orbán a Budapest e Emmanuel Macron a Parigi. E poiché il primo è espression­e di un piccolo Paese, il secondo di un Paese piccolo e illiberale, resterebbe il terzo quale possibile volto dell’europa dopo Draghi e Merkel. Ma può l’uomo dell’eliseo calarsi in un ruolo del genere?

Qualunque cosa ne pensi l’interessat­o, gli altri non sembrano riconoscer­gliene lo status. Resta impensabil­e per Merkel vedersi bocciare dall’europarlam­ento un commissari­o designato, come accaduto a Macron questo mese con la francese Sylvie Goulard. Che abbia ragione o meno, nella sua intransige­nza la Francia è isolata in Europa sui tempi da concedere per la Brexit. E il veto di Parigi all’avvio dei negoziati di adesione all’unione di Albania e Macedonia del Nord — un atto potenzialm­ente destabiliz­zante per i Balcani — è stato interpreta­to da molti come un deliberato dispetto alla Germania, perché Berlino aveva insabbiato le proposte di Parigi sull’area euro. Non sembra certo un agire da leader riconosciu­to.

Nei giorni dell’uscita di Draghi, il paradosso è proprio qui: ora che nel mondo il potere individual­e diventa sempre più efficace — Donald Trump, Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan, Xi Jinping, persino Boris Johnson — l’europa resta senza volto. Non è detto che sia un male. Purché, almeno, esprima un potere collettivo.

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